Huffington Post e suicide journalism

Posted on 23 novembre 2012

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La mia convinzione in merito ai suicidi è che siano insondabili, che siano atti di difficile comprensione e che il cammino che conduce a gesti del genere, ben difficilmente possa essere riconducibile a una causa precisa e ancora più difficilmente sia possibile accertarla con sicurezza e precisione. Di sicuro chi si toglie la vita merita rispetto e di sicuro glielo si nega ogni volta che si comincia a fantasticare sulla sua morte, riflessione che mi pare ancora più vera  quando a fantasticare su disgrazie del genere sono i media, che finiscono inevitabilmente per esporre pubblicamente drammi che più privati non potrebbero essere.

In queste ore ha fatto notizia la storia di un giovane liceale romano, si è detto suicida perché vittima di bullismo in quanto omosessuale. Poche ore e le testimonianze di quanti lo conoscevano e dei compagni di scuola hanno escluso che fosse omosessuale e anche che il suo amore per l’abbigliamento rosa avesse acceso l’omofobia all’interno della sua scuola, tra quelle al contrario che accolgono una popolazione studentesca del tutto a suo agio con l’esistenza o la presenza di omosessuali. Un plausibile motivo del suo gesto non è così chiaro, ma chi abbia messo insieme la storia iniziale e perché poco importa, si è poi rivelata falsa e tra i motivi del suicidio del giovane non ci può certo essere la difficile vita dell’omosessuale schernito dai compagni, visto che omosessuale non era e loro lo sapevano.

Infortuni che capitano al sistema dell’informazione che tutto macina, ma c’è sempre modo di far peggio e in questo caso ci ha provato con un discreto successo Huffington Post Italia, dal quale , che si definisce  “Hacker e startupper”, ha lanciato questo appello:

La mia proposta è qui. Cerchiamo una data, troviamo persone disposte a raccontare la loro storia, a dire quello che pensano. Scriviamo al preside della scuola, DEVE darci questo spazio. Vogliamo andare al Liceo Cavour e farci sentire.

Oggi la scuola ha fallito perché prima di formare un dottore, un ingegnere, un muratore, deve formare le persone.

Ora tocca a noi, abbiamo due possibilità: limitarci all’indignazione o agire. Chi non potrà venire al Liceo per qualunque motivo ha uno strumento per farsi sentire, strumento che quei vigliacchi hanno saputo utilizzare bene per deridere il loro compagno: è la rete. Scrivete post sui blog, twittate, fate status, condividete foto.

Molto aggressivo e molto indignato, ma anche platealmente ingenuo. Il preside DEVE assecondare questa iniziativa, in pratica una manifestazione di persone esterne alla scuola e una mobilitazione in rete, innescate da un post sul HP  “per farsi sentire” da ” quei vigliacchi “. Tanta aggressività e testosterone che per promuovere l’iniziativa lo stesso autore è poi andato a bussare altrove in rete, tra gli altri, anche al profilo Twitter di Einaudi Editore, chiedendo di rilanciare l’iniziativa e incontrando un’ovvia, quanto evidentemente inattesa, perplessità.

Alla perplessità ha risposto con una raffica di messaggi ai quali si è unito anche un altro giornalista di HP, con un commento invero del tutto campato in aria visto che accusa l’account di Einaudi Editore di fare “sociologia da strapazzo” senza che nei dintorni ci siano tracce di sociologia, se non quelle che lascia al suo passaggio Stroppa. Pasqua è  noto per andare per le spicce quando si tratta di lanciare accuse anche più gravi e quindi non stupisce, ma nemmeno Stroppa sembra uno che ci pensa due volte a scagliare la prima pietra, la sua idea sui giovani compagni del suicida è infatti abbastanza netta:

” o si inseriscono nella società in modo civile o bisogna punirli moralmente e LEGALMENTE. 2/2. resto è #fuffa

Dettagliato nella sua pagina Facebook così:

 Io ora ho una proposta, andiamo in quella scuola, il Liceo Cavour di Roma, dal Preside e ci facciamo dare l’aula più grande, convochiamo TUTTI gli studenti e gli raccontiamo cosa significa essere persone. Non importa se il caso del suicidio è per il sesso, la religione, la cultura o le proprie idee, importa che non si può sopportare che ci siano persone così dementi in giro. Dobbiamo imporre loro due scelte, la prima è quella di cambiare, la seconda è di essere puniti o legalmente (ci penserà chi di dovere) o moralmente.

Non è ben chiaro chi siano i destinatari di tanta determinazione, ma sicuramente Stroppa pensa s’annidino in quella scuola. Prima ancora è evidente che, anche se ci fossero, l’idea di affidare a Stroppa e ai suoi amici la punizione morale (per non parlare dell’individuazione) di quei liceali è un orrore che non dovrebbe aver cittadinanza in un paese civile, che non affida certo l’educazione morale degli studenti a torme d’inadatti con la fregola del giustiziere, autoconvocati per l’occasione al traino di appelli del genere.

Che l’autore di queste uscite si proponga come un sostenitore di una rinascita culturale dalle pagine di una testata associata a grandi gruppi editoriali e poi esibisca idee bislacche accompagnandole con l’incontinenza verbale, è in effetti la riproduzione di un tic ricorrente e coerente con l’epoca. Però non si capisce davvero quale contributo educativo potrebbe fornire a quei liceali un’iniziativa che si fonda si presupposti tanto rozzi e poco meditati, a esser buoni. Sarebbe curioso sentire in proposito il parere di Lucia Annunziata, che aveva presentato il nuovo prodotto editoriale esibendo propositi molto distanti da una realtà del genere.

Riassumendo, dalle pagine di HP un giovane blogger ha lanciato un discutibilissimo appello a una ancor più discutibile mobilitazione, fondandosi su quello che i primi lanci d’agenzia raccontano del suicidio di un minore. Dopo di che si è fiondato su Twitter e Facebook, non mancando di sollecitare adesioni di gestori di account molto seguiti e, di fronte alla loro minima espressione di sacrosante perplessità, si è messo ad insultarli insieme a un collega giunto a rinforzo. Due kamikaze allo sbaraglio e infatti sono finiti malamente insieme alla disgraziata iniziativa. Che su HP ha raccolto un solo commento, che parla d’altro.

Non si sa se questo sia lo stile che Lucia Annunziata vuole dare alla testata o se si tratti dell’improvvida iniziativa di un giovane assai poco riflessivo sostenuto malamente da un redattore più esperto, ma di sicuro questo non è giornalismo, non è attivismo e non è nemmeno la maniera di stare nello spazio pubblico, di esempi del genere non ce n’è bisogno. Prima se ne renderanno conto all’HP, meglio sarà per tutti.

A margine, per chi sia fermato ai titoli e alle prime ricostruzioni della vicenda o l’abbia ignorata, valgano le parole nella lettera firmata da insegnanti, genitori e compagni di classe di A., che:

 “hanno conosciuto e voluto bene” … “all’irreparabile dolore per la sua morte tragica, si unisce un ulteriore motivo di sofferenza, legato al modo in cui la tragedia viene ricostruita, stravolgendo l’immagine di A”.  A. “era un ragazzo molto più complesso e sfaccettato del profilo che ne viene dipinto: era ironico e autoironico, quindi capace di dare le giuste dimensioni anche alle prese in giro alle quali lo esponeva il suo carattere estroso e originale e anche il suo gusto per il paradosso e il travestimento, che nelle ricostruzioni giornalistiche è stato confuso con una inesistente omosessualità. Era curioso e comunicativo, pieno di vita e creativo, apprezzato a scuola dagli insegnanti; soprattutto era molto amato da tantissimi amici e compagni”.

I quali non meritano certo di veder turbato il loro dolore da iniziative tanto rozze e improvvisate.

P.s.

Bonus Round: un grande classico in tema: “La rete uccide”