Congo, fine della crisi?

Posted on 25 novembre 2012

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(Tra la prima pubblicazione di questo pezzo e adesso, Kabila ha concesso il beneficio del dubbio ai due dittatori confinanti ed è sceso a patti con M23, che si ritirerà da Goma e che probabilmente otterrà quanto rivendicato fin dall’inizio, migliori condizioni per i suoi arruolati nell’esercito congolese e il rispetto degli accordi che lamentano violati)

L’avanzata incontrastata dei ribelli lascia Kabila disarmato. Gabriel Amisi non è più a capo di stato maggiore delle forze armate congolesi, è stato sospeso dopo la pubblicazione di un rapporto dell’ONU che lo accusa di sovraintendere una rete criminale dedita alla vendita di armi ai ribelli nell’Est del paese, proprio quelli che sono avanzati su Goma e Sake senza che l’esercito sparasse un colpo.

Nata circa otto mesi fa, la ribellione è in realtà l’ammutinamento da parte di ex-ribelli inquadrati nell’esercito congolese, che da quando si sono messi in proprio sembrano godere di abbondanza d’armi, munizioni e denaro, a differenza delle truppe governative che fanno vita miserrima. “Andremo fino a Bukava, Kinshasa, Kisangani”, ha tuonato il portavoce del movimento M23 Viannay Kazarama, arringando la folla radunata a forza nello stadio di Goma dopo la presa di Sake, sena tuttavia raccogliere segni di grande sostegno popolare.

Ha poi aggiunto che “Kabila deve lasciare il potere perché non ha vinto le elezioni dell’anno scorso”, echeggiando diffuse accuse di brogli per l’ultima tornata elettorale, frasi che a Kinshasa saranno risuonate come una conferma della linea della non-trattativa, che però in qualche modo era già in corso.

In quelle stesse ora infatti Joseph Kabila era a colloquio con i dittatori di Ruanda e Uganda, gli stessi che secondo l’ONU sono dietro al successo del M23, impegnato in difficili colloqui sul come mettere mano a una situazione esplosiva in una regione che è una vera e propria polveriere nel centro dell’Africa e che in tempi anche recenti ha visto conflitti e stragi che hanno fatto parlare di prima guerra mondiale africana e prodotto oltre 5 milioni di morti nel solo conflitto principale nato attorno al sacco del Congo orfano di Mobutu.

Silente l’ONU, che raccoglie solidarietà e condanne internazionali contro i ribelli, ma che ha visto i 17.000 uomini della missione MONUC, che si trovano proprio lì, assistere indifferenti alla presa di Goma, la capitale della regione. Nella sostanziale indifferenza dei padrini occidentali e su tutti egli Stati Uniti, main sponsor dei tre autocrati, ma incapace di ridurli alla ragione o anche solo di richiamarli all’ordine.

Nei mesi scorsi è stato evidente che le dimensioni del fenomeno M23 non solo quelle dell’ammutinamento di un battaglione dell’esercito congolese, ma della riaccensione di un meccanismo destabilizzante che ha chiari fruitori nei paesi confinanti con l’Est del Congo e con la ricchissima regione mineraria del Kivu. Il fatto che l’Uganda sia stata per anni il maggior esportatore d’oro africano senza produrne, è la migliore dimostrazione di come i minerali preziosi estratti nella parte orientale del Congo abbiano preso per anni la via del contrabbando oltre le vicine frontiere senza passare per le dogane di Kinsasha,  andando così ad arricchire i paesi vicini.

Chiaro quindi che un governo congolese in grado di controllare le frontiere orientali non piaccia a quanti negli ultimi 20 anni hanno lucrato sull’instabilità della regione, che hanno contribuito ad alimentare ad arte impunemente, visto che solo di recente l’ONU ha puntato il dito contro Museveni e Kagame, fino a ieri alleati portati in palmo di mano dall’Occidente al punto da essere ignorati da quel Tribunale Penale internazionale che pure ha incriminato alcuni dei loro concorrenti decisamente meno compromessi, anche perché è abbastanza chiaro che al potere siano giunti quelli che hanno eccelso in mezzo al terribile bagno di sangue.

L’avanzata del M23 su Goma intanto ha provocato un’impennata della crisi umanitaria, visto che dalla città ritenuta sicura a dai campi profughi allestiti nei dintorni sono fuggiti a decine di migliaia al giorno nell’ultima settimana, in fuga verso il nulla perché non hanno alternative praticabili se non l’attraversamento della frontiera e la ricerca di rifugio in Uganda, Ruanda o Burundi, in Congo non è ancora chiaro su quali linee si dispiegherà la risposta “umanitaria” e nemmeno cosa accadrà nei prossimi giorni, se Kabila conseguirà qualche risultato con la trattativa o se Goma rimarrà in mano ai ribelli e sarà necessario l’intervento della MONUC, che però difficilmente potrebbe disporsi all’attacco dei ribelli barricai in una grande città

Per ora si può paradossalmente notare che non sia ancora accaduto il peggio, mancano notizie di furiosi combattimenti e anche di pratiche quali lo stupro sistematico da parte dei ribelli o dei governativi o le stragi di civili, quasi immancabili nei recenti conflitti nell’area. Sono stati segnalati singoli episodi del genere, ma non si nota ancora l’esplosione di follia su larga scala che ha accompagnato gli ultimi conflitti. Come nota d’ottimismo è decisamente modesta e per di più suscettibile di essere coperta in fretta dal fragore di scontri più decisi, che non sono per niente improbabili, nonostante in questi mesi i due fronti si siano mostrati poco inclini alla battaglia e più propensi alla retorica.

Pubblicato in Giornalettismo

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