Chi arma il Sud Sudan?

Posted on 1 luglio 2012

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Al coinvolgimento già noto di Washington s’aggiunge l’abbastanza ovvia complicità di Londra.

La cattura di un cargo da parte dei pirati somali ha portato nel 2008 alla scoperta del documento di carico della motonave ucraina Faina, che indicava chiaramente come i 32 carri T-72, i mezzi lanciarazzi e il resto delle armi leggere a bordo fossero destinati al riarmo clandestino del Sud-Sudan e come il governo del Kenya fosse il tramite di un acquisto in nome e per conto del GOSS (Governement of South Sudan). A portare alla luce il traffico sono stati proprio i pirati, che hanno diffuso il documento di carico che dimostrava la sua destinazione finale. La Faina fu poi liberata dietro il pagamento di un riscatto di circa tre milioni di dollari e raggiunse il Kenya, dove i carri furono sbarcati e presi in carico dal governo di Nairobi che subito li reclamò come propri, mentre il governo del Sud Sudan, che ancora doveva attendere due anni per il previsto referendum e un anno per la sospirata indipendenza, negava di averci nulla a che fare.

Tutto questo affannarsi a negare, al quale si unì anche il governo ucraino, era giustificato dall’esistenza di un embargo e dal fatto che tali forniture violavano gli accordi con Karthum, che avrebbe potuto approfittare dell’occasione e denunciare gli accordi di pace. Il regime di al Bashir invece ne aveva abbastanza e non pose ostacoli all’indipendenza del Sud, che pure ha combattuto per una ventina d’anni.

Un’ulteriore conferma venne poi dalla diffusione di un cable di quelli diffusi da Wikileaks, nel quale l’ambasciata americana in Kenya a fine 2009 riferiva del problema rappresentato da questi carri una volta che, pagato il riscatto ai pirati, erano giunti a Mombasa.

Nel cable si spiega che il governo del Kenya faceva pressione perché di quei 32 carri non sapeva più che farsene e che il governo sud-sudanese era furioso con Nairobi perché voleva i carri (quelli che aveva smentito fossero suoi). Di più, i keniani non capivano perché gli americani imponessero la sospensione della consegna, visto che già 67 carri e altro materiale avevano seguito la stessa strada autorizzati da Washington. Nairobi poi non capiva perché dotare il Sud Sudan di un centinaio di carri del genere se gli accordi prevedevano di dotare Juba di una forza militare sufficiente alla difesa, ma che non fosse in grado di attaccare Karthum. Ma soprattutto non capiva come Washington potesse minacciare di sanzioni Nairobi che aveva operato di concerto con l’amministrazione americana.

Gli americani avevano ovviamente un problema di coerenza e il timore di veder saltare il banco della futura indipendenza, che invece i leader sud-sudanesi non avevano per niente. Tra l’altro le forniture non erano dirette esattamente a un fantomatico esercito sudanese di là da venire, ma allo SPLA (Sudan People Liberation Army), che per gli Statunitensi era tra le organizzazioni terroristiche e che secondo gli accordi doveva essere in futuro integrato nell’esercito sudanese. Consegnargli un centinaio di T-72 non sembrava coerente con l’obbiettivo, ma gli americani procedettero lo stesso e ugualmente fornirono addestramento militare a quelli dello SPLA. Tanto fecero che arrivarono a minacciare pubblicamente l’Ucraina di sanzioni se il governo ucraino non avesse ammesso le proprie responsabilità. Un penoso gioco delle parti visto che Washington in passato aveva autorizzato il traffico.

Oggi, secondo Amnesty International e tutti gli osservatori sul campo, quei carri sono stati usati per invadere una piccola porzione di territorio sudanese che una corte internazionale aveva stabilito appartenere a Karthum. Un’operazione iniziata qualche mese fa e abortita sia per l’incapacità sud-sudanese d’impiegarli con profitto che per la reazione dell’alleato americano, che già si può dire tradito e superato in militarismo dai “terroristi” ai quali ha affidato il paese fresco d’indipendenza. Una storia già vista altrove.

Il problema con il governo di Salva Kiir è quello dell’ascesa al potere di una classe dirigente che per vent’anni ha combattuto tra foreste e savane una guerra d’attrito e che ora, vestiti i panni degli eroi dell’indipendenza, non ha trovato di meglio che continuare la guerra contro il Nord, trascurando completamente di governare il neonato paese, subito esploso in conflitti pseudo-tribali che la grande disponibilità di armi ha presto trasformato in stragi capaci di causare anche ingenti flussi di profughi. Ma Salva Kir sembrava vedere solo il Nord, almeno fino a che il Dipartimento di Stato ha davvero detto stop e costretto i sud-sudanesi al ritiro. Salva KiIr aveva forse pensato di agitare il nazionalismo per coprire i fallimenti della sua amministrazione, ma ha subito trovato un’alternativa nel South Sudan Liberation Army (SSLA) che in diverse zone del paese combatte ormai da settimane contro quelli dello SPLA, che già da prima si erano dimostrati incapaci di sedare persino le faide per i furti di bestiame che hanno gettato nel caos più di una regione. Una spettacolare dimostrazione di pochezza e d’incompetenza, unita all’arroganza della scelta di bloccare le esportazioni petrolifere per non pagare il transito del petrolio attraverso gli oleodotti dell’odiato  Sudan, com’era previsto dagli accordi di pace.

La road map per la pace tra i due Sudan si è rivelata una truffa, Karthum ha mantenuto i suoi impegni mentre Juba e Washington li hanno traditi un attimo dopo averli sottoscritti, ma più di questo che può impressionare solo gli ingenui, colpiscono la straordinaria incapacità (e rapacità) del governo sud-sudanese e il fatto che le amministrazioni americane e il referente coloniale britannico abbiano puntato per decenni ingenti risorse per far nascere un paese indipendente e per poi affidarlo a una classe dirigente tanto scadente e miope. E pensare che per aiutare questo governo lo stesso Obama aveva sospeso la legge che proibisce agli Stati Uniti di aiutare quelli che arruolano e impiegano soldati-bambino, firmando un’esenzione per Sudan, Yemen, Ciad e Repubblica democratica del Congo. L’ennesima ipocrisia di un governo che poi manda i suoi soldati ad assistere il governo ugandese, con il pretesto di dare la caccia a un signore della guerra che arruola bambini e che non è nemmeno più in Uganda.

Pubblicato in Giornalettismo

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