Al riscaldamento climatico potremo solo adattarci, forse

Posted on 7 dicembre 2013

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L’ultimo rapporto del National Research Council americano sottolinea il pericolo delle «sorprese climatiche» nel prossimo futuro, alle quali sarà più difficile «adattarsi» che ai cambiamenti sul medio-lungo periodo.

Il problema, secondo il documento pubblicato ieri, è che i cambiamenti climatici arrivano e arriveranno prima che per le amministrazioni sia possibile stendere o finanziare qualsiasi piano di mitigazione, costringendole a risposte reattive in mancanza d’opportunità di carattere preventivo. Osservazione che peraltro può avere senso pensando agli Stati Uniti, ma che ne perde parecchio se vestita su un’orografia come quella italiana, dove l’alta densità degli abitanti e la natura dei luoghi amplificano l’importanza di una gestione e manutenzione del territorio puntuali e attente.

Il National Research Council nel documento dal titolo abbastanza esplicito, «Abrupt Impacts of Climate Change: Anticipating Surprises», puntano proprio agli eventi estremi climatici, allo scioglimento dei ghiacciai polari e all’estinzione di piante e animali in certezone del pianeta nell’indicare le sorprese che ci potranno fare più male e trovarci impreparati e indifesi, in una prospettiva nella quale anche i peggiori scenari sembrano alla nostra portata e i limiti che il mondo si sera riproposto, secondo alcuni già disastrosi, saranno con ogni probabilità superati di slancio.

Lo scioglimento dei ghiacci polari e in particolare di quelli artici ha sorpreso tutti per la sua veloce espansione, molto più veloce delle peggiori previsioni formulate quando il problema cominciò a stagliarsi all’orizzonte negli studi più qualificati. I decenni di inazione da quei primi allarmi si sono dimostrati anche più dannosi di quanto ipotizzato e oggi le peggiori previsioni sono state superate dalla realtà. L’aumento della temperatura nell’ordine di un grado rispetto all’era pre-industriale è già stato conseguito e il limite dei 2 gradi per il 2100 sarà quasi sicuramente superato, oltre c’è l’ignoto, perché già quei 2 gradi su scala planetaria significano cambiamenti epocali, per di più sembra proprio che al 2100 ci arriveremo bruciando combustibili fossili più di ora, accumulando in atmosfera tanta robaccia che ci vorrà qualche secolo per smaltirla anche qualora l’umanità arrivasse poi a servirsi solo di energia pulita. Le buone notizie contenute nel rapporto sono pochissime, una è la stima del metano contenuto nel permafrost, gas che ha un rilevantissimo effetto-serra, ma che secondo gli scienziati americani non sarà rilasciato dal terreno riscaldato in misura tale da alimentare a sua volta il disastro significativamente.

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Oltre all’innalzamento delle acque «Il pianeta diventerà più caldo di quanto la maggior parte delle specie viventi abbiano mai sperimentato, umani inclusi» e la velocità del cambiamento sarà esponenzialmente più veloce di quanto le specie viventi abbiano sperimentato negli ultimi dieci milioni di anni, molte non lo sopporteranno o spariranno dalle latitudini che per loro diventeranno invivibili, altre specie ne trarranno vantaggio in altre zone, che però a oggi sono quasi disabitate. A rischio sono l’agricoltura e la pesca, ma anche le attività turistiche e un rischio generale è rappresentato dagli eventi atmosferici estremi. Gli uragani sempre più forti e frequenti sono la spia più evidente del futuro che ci attende e anche la «bombe d’acqua» fanno parte del menu offerto dall’annunciata tropicalizzazione del clima.

Gli scienziati americani suggeriscono quindi di dotarsi di sistemi d’allerta e di protezione civile, oltre all’investimento nel monitoraggio dei ghiacci, inspiegabilmente tagliato dall’amministrazione Obama, che pure a parole non dubita del fenomeno in atto e si è sempre presentato come interessato a fronteggiarlo. A oggi i dati disponibili che la concentrazione di CO2 in atmosfera negli ultimi 400.000 anni è stata compresa tra le 200 parti per milione durante le ere glaciali e i 280 nei periodi più caldi, nel 2013ha superato per la prima volta quota 400 e la CO2 non è nemmeno l’unica sostanza nociva che gettiamo in atmosfera, molte delle quali prima dell’avvento della civiltà industriale non c’erano nemmeno. La progressione costante di questo valore conferma che il 60% delle nostre emissioni permane in atmosfera per un periodo molto lungo, al punto che alcuni cominciano a distinguere la nostra epoca come Antropocene, un’era nella quale il pianeta sarà molto diverso da quello conosciuto dai nostri antenati. I dati del Gravity Recovery and Climate Experiment della Nasa hanno registrato una perdita di ghiaccio stimata tra i 150 e i 250 tra il 2002 e il 2006 per l’Artico e circa 153 chilometri cubici all’anno per l’Antartico tra il 2002 e il 2005, parallelamente l’estensione e lo spessore dei ghiacci sono diminuiti a velocità mai registrate prima e i tutti i ghiacciai del pianeta hanno registrato vistose ritirate. Questo ha comportato un aumento di 17 centimetri del livello dei mari negli ultimi 100 anni (potrebbe crescere di un altro metro in 30 anni secondo stime compatibili con i trend attuali) e il riscaldamento globale è stato sentito fino alle profondità degli oceani, che peraltro hanno visto aumentare velocemente anche l’acidità delle acque, cresciuta del 30% dall’inizio dell’età industriale, si stima che oltre al calore (più 0.3 gradi fino alla profondità di 700 metri dal 1969) gli oceani assorbano due miliardi di tonnellate di CO2 ogni anno, più il resto. Tutti i dati raccolti e pubblicati dalla Nasa dimostrano ampiamente la progressione di questi numeri nel tempo e il loro accompagnarsi prima alla rivoluzione industriale, per esplodere infine dagli anni ’70 a oggi, quando nonostante l’allarme suoni da tempo stiamo continuando ad aumentare ogni anno la quantità di emissioni in atmosfera, raccogliere e analizzare più dati aiuterà a ridurre le incertezze.

L’evidenza dice che tagliare o no le emissioni non risparmierà alla nostra generazione e alle prossime la necessità di confrontarsi con un mondo diverso da quello che hanno conosciuto i nostri genitori, e che il non tagliarle inguaierà i pronipoti per qualche centinaio d’anni a venire nelle ipotesi più leggere. Per quello che ci riguarda significa quindi che comunque vada giocheremo tutti alla lotteria del clima impazzito e che dovremo abituarci a bombe d’acqua, uragani e quante sorprese l’immenso aumento di calore e di energia in atmosfera ha già cominciato a scatenare. Dovremo migliorare sistemi di monitoraggio, adattare la qualità delle infrastrutture e delle costruzioni, difendere le terre basse e difenderci dai rovesci dal cielo. Tutte cose che costano e che sono alla portata dei paesi ricchi e sviluppati, ma non di quelli che subiranno prevedibilmente le conseguenze peggiori senza aver mai potuto inquinare in maniera significativa. Sembra proprio che la grande capacità d’adattamento degli umani sarà messa a dura prova da un comportamento autolesionistico e che quindi ci dovremo predisporre a parare le reazioni che stanno seguendo alle nostre azioni inquinanti. Per i decenni a venire c’è solo da ripararsi e alzare le difese, sperando che il cielo non finisca per caderci sulla testa insieme a alla robaccia con la quale l’abbiamo riempito.

Pubblicato in Giornalettismo