Picchiare i bambini va bene, per il Papa e per la legge

Posted on 9 febbraio 2015

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Nel corso dell’udienza generale in Vaticano del 4 febbraio è uscita dalla bocca di Papa Francesco una frase che ha fatto molto discutere:

Un buon padre sa attendere e sa perdonare, dal profondo del cuore. Certo, sa anche correggere con fermezza: non è un padre debole, arrendevole, sentimentale. Il padre che sa correggere senza avvilire è lo stesso che sa proteggere senza risparmiarsi. Una volta ho sentito in una riunione di matrimonio un papà dire: “Io alcune volte devo picchiare un po’ i figli … ma mai in faccia per non avvilirli”. Che bello! Ha senso della dignità. Deve punire, lo fa in modo giusto, e va avanti.

Affermazione abbastanza dirompente, che alcuni esponenti del cattolicesimo più retrivo  hanno subito tradotto così:

In questa seconda parte ha voluto «guardare piuttosto all’aspetto positivo» dei padri non assenti, ma «presenti», mettendo in guardia contro certi eccessi di buonismo. Francesco ha affermato che un buon padre «deve punire in modo giusto» quando è necessario, e ha lodato un padre argentino che qualche volta doveva «picchiare un po’ i figli … ma mai in faccia per non avvilirli».

La frase del Papa è stata di fatto censurata in Italia, ripresa senza commento solo da Il Post e in un lungo articolo de La Repubblica, che si è presa la libertà di ridurre il «picchiare un po’ i figli» alla «sculacciata», così, al singolare. Una linea di difesa adottata anche da altri cattolici che non ce l’hanno con il buonismo e che non ci potevano credere che il Papa fosse tornato a patrocinare la violenza fisica, dopo il recente caso nel quale aveva detto che se uno gli insulta la mamma può aspettarsi un pugno.

C’è da aprire un inciso, non cambierebbe niente neanche se si trattasse di sculacciate e non di botte, com’è chiaro invece nel discorso papale. I figli non si picchiano dice la pedagogia, che è una scienza e che ha stabilito con ampia facoltà di prova che la violenza fisica non è uno strumento efficace per l’educazione e che lascia profonde ferite nei bambini, oltre a mostrare loro un modello di mondo nel quale il più forte fisicamente domina esclusivamente in virtù della sua forza fisica superiore. Un genitore o un educatore che picchia e che «sculaccia» è chiaramente un genitore che non riesce a ottenere lo stesso risultato immediato con mezzi più civili e consoni all’educazione dei fanciulli e che procura al bambino danni permanenti. Per questo 43 stati nel mondo hanno vietato ogni punizione corporale nei confronti dei bambini, l’Italia non c’è, da noi la mentalità è evidentemente ancora quella di quei cattolici che derubricano a sculacciata il picchiare papale perché credono sinceramente che la sculacciata sia una punizione ammissibile, se non addirittura un metodo di correzione indispensabile, convinti che i figli crescano «storti» se non corretti a mazzate «quando ci vogliono». Idee che promanano da una concezione antica della famiglia e di un ruolo del padre ancora troppo vicino a quello al quale era permesso picchiare pure la moglie.

Da noi si punisce l’abuso dei mezzi di correzione o disciplina, vietato da un articolo che vale per i genitori come per le guardie carcerarie, per il quale il bene giuridico tutelato non è l’integrità dei minori, ma  l’interesse dello Stato alla salvaguardia della famiglia e di tutte le altre istituzioni interessate nei rapporti di disciplina, arrivando alla «consacrazione legislativa di quella concezione medievale» che l’uso della violenza fisica o morale sia legittima, purché non causi una malattia nel corpo e nella mente e secondo cui persino la morte inflitta dal genitore o dall’educatore è considerata meno grave dell’omicidio volontario semplice e persino dell’omicidio preterintenzionale (In Enciclopedia del Diritto, voce Abuso dei mezzi di correzione o di disciplina, G. Pioselli, 1958, I, 170-173). Una recente sentenza ha stabilito che il genitore che è solito eccedere con le maniere forti nei confronti dei figli commette il reato di maltrattamenti e non quello sopra ricordato, ma si punisce appunto un «eccesso» reiterato e abituale, evidenziando in tal senso che gli eccessi saltuari o episodici non sono considerati reato, almeno fino a che non provochino gravi danni alla salute del bambino.

All’estero invece la cosa è stata notata molto di più, tanto che il Vaticano ha ritenuto necessario rispondere a The Guardian per voce del reverendo Thomas Rosica, dell’ufficio stampa del Vaticano, che in una mail ha scritto che il Papa non non sta ovviamente parlando di commettere violenze o crudeltà contro un bambino, quanto piuttosto di «aiutare qualcuno a crescere e maturare».

«Chi non ha punito il proprio figlio o non è stato punito dai suoi genitori mentre cresceva? Guardate semplicemente Papa Francesco quando è con i bambini e lasciate che le immagini e i gesti parlino da soli. Inferire o distorcere qualsiasi cosa… rivela un problema più grande in quanti non sembrano capire che il Papa ha portato una rivoluzione di normalità, di discorsi semplici e gesti semplici».

Ora, a parte la smentita che non smentisce nulla e che accusa gli altri di aver frainteso, non tutti picchiano i proprio figli o hanno avuto la sventura di essere picchiati dai loro genitori, circostanza che comunque dice nulla sulla giustezza e l’utilità di una pratica ampiamente rigettata da educatori e pedagoghi.

Posto che è chiaro che anche in Vaticano abbiano capito che quelle parole erano sommamente sbagliate, tanto da attirarsi la denuncia di diverse associazioni per le difesa dell’infanzia in giro per il mondo e parecchie critiche da altri e svariati soggetti, resta ora da capire quale sia la posizione del Vaticano in merito alle punizioni corporali come strumento d’educazione. Il Vaticano le ammette e legittima, come le ha chiaramente ammesse e legittimate il Papa in quel passaggio? I sacerdoti suggeriscono le sculacciate o le botte come utile strumento di corruzione ai genitori cattolici? Oppure il Vaticano s’allinea ai paesi più civili che le vietano e nelle chiese e nelle canoniche si dice ai genitori che picchiare i figli è peccato? E quali linee guida seguono in proposito le scuole confessionali cattoliche?

È una questione sulla quale il Vaticano dovrebbe far chiarezza e con una certa urgenza, perché come s’è visto ci sono parecchi cattolici che non aspettano altro di avere l’ok del Papa per evitare comportamenti «buonisti» e dare e vantare le virtù delle sberle, anche se  magari non in faccia, visto che il Papa apprezza chi evita e che non è bello mandare in giro i figli con lividi visibili. La violenza genera violenza, la violenza usata sui bambini genera adulti violenti che saranno a loro volta violenti con donne e bambini.  È interesse di tutti, cattolici e no, sapere se dietro la figura del Cristo che porge l’altra guancia e porta amore e pace, non ci sia invece in agguato una Chiesa che vuole ancora i piccoli educati con metodi violenti. Un interesse amplificato dal fatto che il nostro paese non sia tra quelli che hanno abolito del tutto le punizioni corporali ai bambini, che sono vietate se commesse dagli educatori, ma non se a picchiare sono i genitori. Una situazione che difficilmente cambierà, se la chiesa di Roma invece di mettere il suo peso dalla parte dell’abolizione, schiera un Papa che fa l’apologia dei padri maneschi.