L’Haji e la Mecca dei Saud

Posted on 28 settembre 2012

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La modernità e gli affari hanno trasformato l’antico luogo di pellegrinaggio in industria e i luoghi santi in una Disneyland. Ma la monarchia Saudita ancora trae enormi vantaggi dal controllo dei luoghi sacri all’Islam.

Ogni buon musulmano che se lo possa permettere e che non abbia menomazioni fisiche tali da impedirlo, deve recarsi almeno una volta nella vita a compiere l’Haji, il pellegrinaggio ai luoghi santi. Il problema posto da questa prescrizione, che è uno dei cinque pilastri dell’islam e che secondo il culto discende direttamente da Dio, è che va effettuata in una precisa finestra del calendario lunare islamico che dura cinque giorni e li prende tutti. I pellegrini che vogliono fare l’Haji devono quindi arrivare più o meno tutti insieme e così ripartire, come accade in questi giorni.

Il devoto musulmano può praticare l’Umrah, che è una versione in minore dell’Haji che si può fare durante tutto l’anno, ma questa è facoltativa, mentre l’Haji è obbligatorio, l’Humra quindi non risolve. Il problema del sovraffollamento non si è posto fino a quando alla Mecca arrivavano solo i musulmani che avevano potuto risparmiare cifre notevoli per l’impresa, che prima dell’arrivo della modernità si compiva in carovane, alle quali poteva anche capitare di giungere decimate al termine dei lunghi viaggi nel severo ambiente saudita. Haji è anche un termine che identifica l’anziano rispettabile, perché a compiere il pellegrinaggio erano per lo più persone di un certo censo e di una certa età, in molti paesi è d’uso anche per chi non sia stato in pellegrinaggio, ma possieda le altre caratteristiche.

Oggi la Mecca è circondata da una città con due milioni di abitanti a pochi chilometri da Jeddah, che ne ha quasi cinque milioni e che oltre a essere la città più dinamica del regno è la moderna porta d’ingresso per l’haji. I pochi che abitavano l’immenso territorio  saudita e hanno goduto del generoso welfare fin da quando è il paese è stato regalato loro dai britannici e dagli americani, oggi sono diventati milioni. La rendita petrolifera non basta più a mantenerli tutti, ma soprattutto bisogna trovar loro qualcosa da fare e non si può offrire a tutti un posto pubblico. Nella necessità di diversificare l’economia e creare posti di lavoro, si è così aggiunto un buon motivo allo sviluppo del turismo religioso, al quale la monarchia saudita ha dato nuovo impulso dopo essersi spogliata del titolo reale ed aver vestito quello di custode dei luoghi santi.

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La mossa era intesa a recuperare ai Saud rispetto e legittimità, sia perché la dinastia non è mai stata simpatica al resto dei musulmani, sia perché la loro monarchia assoluta è d’impronta teocratico-feudale, sia perché l’avanzare dei fanatici nel regno imponeva la fuga in avanti ad occupare il futuro che questi parevano interessati a realizzare, dopo aver fatto fuori i Saud. Che da lì in poi hanno deciso che la Mecca era un buon posto dove investire il loro enorme surplus commerciale, combinando politica e investimenti immobiliari e commerciali garantiti dall’afflusso potenzialmente inesauribile di pellegrini.

Un piccolo problema dottrinale avrebbe a dire il vero impedito i progetti così come sono stati realizzati, ma i Saud non hanno mai avuto grandi problemi a convincere i sacerdoti e i dottori dell’Islam, che anzi si sono prestati con una certa elasticità a validare le modifiche apportate all’antica moschea e ai dintorni. L’idea attorno all’Haji è quella che il pellegrino ripercorra i passi di Maometto, visiti e rifletta nei luoghi nei quali si dice che Dio giocò con Abramo e la vita di suo figlio e beva dalla sacra fonte fatta sgorgare dall’arcangelo Gabriele, svolgendo alcuni precisi gesti rituali codificati dal Profeta stesso. Che ovviamente non pensava agli sviluppi futuri, ma la sua inalterabile parola, che ancora oggi ad esempio costringe le saudite a una sottomissione inaudita, in questo caso non è stata rispettata alla lettera, ma interpretata adattandola alla necessità con un’inconsueta elasticità. Tutto il percorso dovrebbe servire al pellegrino a rivivere le esperienze mistiche vissute dai sacri padri del monosteismo islamico e i passi con i quali si avvicinarono a Dio, ma di quei luoghi ormai di originale resta appena la pietra nera, tutto il resto è stato inglobato dallo sviluppo urbano.

La fregola immobiliare e gli enormi capitali a disposizione hanno quindi velocizzato un processo già visto altrove e il risultato è stato al tempo stesso impressionante e inquietante. Oggi la sacra pietra nera è sovrastata dall’edificio più vasto del mondo, la Mecca Tower, un oggettino con quattro torri altre 250 metri e una che svetta oltre i 600, in cima alla quale i sauditi hanno piazzato ex post una copia del Big Ben, ancora una volta per questioni politiche. Il mostro non piaceva a nessuno a parte quelli che ne avrebbero guadagnato (i reali e il Gruppo Bin Laden) e così la monarchia ha messo sul piatto un osservatorio astronomico per calcolare esattamente la data d’inizio dell’Haji e l’orologione con le lucine che che ripropongono il Corano e le lodi ad Allah. L’orologio poi è stato spacciato come la prima pietra per affermare l’ora islamica come riferimento della comunità dei credenti, che dovrebbe sostituire la Greenwich degli infedeli con la Mecca. L’idea non è che abbia raccolto grossi entusiasmi, ma così il palazzone ha assunto una parvenza di sfida tecnico-simbolica “islamica” al resto del mondo. Poi dentro è comunque un tripudio d’attività commerciali, anche se ci sono grandi spazi per la preghiera a compensare.

Di sicuro i pellegrini non si sentiranno come Maometto con quella cosuccia che incombe sulla sacra moschea, essendo costruita proprio al di là della strada, ma anche senza il mostro sarebbe difficile oggi per i pellegrini immaginare come fossero quei luoghi senza ricorrere a foto datate. Le modifiche ai luoghi e la necessità di accomodare un numero sempre maggiore di pellegrini  hanno sconvolto il rito, che ormai non è non potrà più essere quello sancito dal Profeta, l’orologione è lì a ricordarlo anche ai più distratti.

I dotti musulmani interpellati hanno vagliato insieme agli architetti le soluzioni e cambiato le regole dell’Haji di conseguenza. Chierici e architetti hanno dovuto lavorare soprattutto sulla rimozione dei colli di bottiglia imposti dal vecchio rito. Ad esempio, non essendo possibile far toccare a tutti la pietra nera, i chierici hanno convenuto che sia sufficiente compiere i rituali sette giri attorno ad essa guardandola e puntandola con un braccio, anche da lontano, anche da molto lontano. L’innovazione ha permesso la dilatazione dell’antica moschea con anelli terrazzati sempre più larghi che permettono ai pellegrini di esaurire il rito in numeri altrimenti impensabili.

Anche il prescritto andare avanti e indietro tra i luoghi santi è stato stravolto e oggi si consuma in enormi tunnel con l’aria condizionata. Difficile rivivere in questo modo l’andirivieni  d’Abramo in cerca d’acqua per il figlio assetato o i tormenti e le estasi del Profeta mentre si spostava da un luogo all’altro. Anche i tre pilastri, che rappresentano le tre volte nelle quali Abramo avrebbe respinto il diavolo e  ai quali i fedeli dovevano tirare sette sassi ciascuno, hanno subito una trasformazione abbastanza radicale. Oggi sono lunghi muri ai quali i fedeli che passano davanti sullo Jamaraat Bridge, un ponte a più livelli, tirano pietre che poi finiscono in appositi raccoglitori al piedi dei muri. Molto più efficiente.

Anche la chiusura del rito è stata modificata e invece di sacrificare un animale i pellegrini comprano un buono grazie al quale sarà sacrificata una pecora per ciascuno o una vacca ogni sette. La macellazione avviene in un sito centralizzato che poi confeziona la carne e la distribuisce ai poveri nei paesi musulmani. Comincia allora l’Eid al-Adha, una festività islamica di tre giorni, durante i quali i fedeli si possono finalmente rilassare e dedicarsi ad attività più mondane. Il rito incompleto non vale e quindi è evidente la sfida che si pone nel cercare di far entrare sempre più persone nella giostra.

Persone che poi bisogna anche nutrire e alloggiare e qui, alla faccia del pellegrinaggio durante il quale tutti sono uguali perché usano come abito un lenzuolo bianco, c’è chi è ospitato in camere da migliaia di dollari a notte a picco sulla moschea e chi s’arrangia con sistemazioni molto più spartane. Tra questi ci sono i gruppi organizzati da una miriade d’organizzazioni, esattamente come da noi, e ci sono persino quelli che ci vanno a spese dello stato, come quest’anno è accaduto a qualche migliaio di musulmani cinesi, che Pechino ha spinto in Arabia Saudita per dimostrare che non ha problemi con la minoranza musulmana. Persone che bisogna anche sorvegliare, perché c’è sempre il pericolo che un incidente provochi il panico e la folla faccia una strage e perché la Mecca è già stata oggetto di attacchi che i Saud non vogliono vedere mai più. Una sorveglianza implacabile alla quale nulla sfugge, pare,  e che ha anche il compito di bloccare l’accesso a infedeli curiosi o a gruppi non in linea con le prescrizioni islamiche in vigore in Arabia Saudita, che sono abbastanza uniche. Ecco allora che proprio nelle ore scorse è capitato che 1000 pellegrine nigeriane siano state bloccate perché giunte senza i necessari guardiani. In quanto donne e in quanto musulmane possono circolare in Arabia Saudita solo se accompagnate da un maschio di famiglia. Facile immaginare che ci siano rimaste male, il governo nigeriano ha provato a trattare, ma i sauditi sono stati inflessibili, così i nigeriani hanno bloccato tutti i voli per l’haji. Non una grossa perdita su un flusso che ormai ha passato i due milioni di pellegrini, erano un milione nel 1996, 50.000 negli anni ’20 del secolo scorso, ma pur sempre il segnale di tensioni tra la regola dei Saud e quelle del resto dell’Islam.

Il moderno pellegrinaggio alla Mecca è così allo stesso tempo una sfida teologica, politica, logistica ed economica, perché la sostenibilità di metropoli e flussi del genere ha costi ambientali ed energetici enormi. una sfida che per ora vincono a mani basse gli investitori immobiliari privilegiati e gli stessi Saud, ma che a gioco lungo potrebbe essere pregiudicata dallo stesso gigantismo dell’impresa. Che nei progetti peraltro prevede rifacimenti urbani ancora più radicali e imponenti, quello che è stato realizzato fino ad oggi è infatti solo la parte iniziale di un progetto destinato a stravolgere ancora e molto di più l’orografia e la natura di quei luoghi.



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