Votare è meglio di stare a guardare

Posted on 23 febbraio 2013

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Da oggi fino a lunedì sono ai seggi, come mi è successo quasi ad ogni elezione negli ultimi 25 anni, un’esperienza gradevole nonostante sia comunque un impegno. Meno gradevole questa volta sarà decidere come votare, perché per me il voto è sempre stato una cosa da prendere sul serio e così di conseguenza la scelta del partito o del candidato.

Voterò, e voterò a sinistra, o almeno per quel che c’è di vagamente di sinistra nel menu, deciderò quando avrò periziato i candidati, e voterò sicuro di non scegliere una persona o un partito nel quale ho fiducia, materia preziosa che non va sprecata in casi del genere. Alle ultime elezioni invece, per la prima volta, non ho votato, ma all’epoca avevo uno scopo, abbattere quel che rimaneva di quell’aborto infelice che Rifondazione Comunista senza rinforzare un PD fallimentare e impresentabile, che non sarebbe comunque riuscito a tenere testa a Berlusconi senza quella specie di soccorso rosso che  alle elezioni precedenti era riuscito a a garantirgli una risicata maggioranza in virtù della “porcata” di Calderoli.

Viste le premesse mi sono chiesto se non avesse senso l’astensione anche a questo giro e mi sono risposto di no. Determinazione ancora più rinforzata quando ho visto persone con le quali sono in sintonia o che stimo chiamarsi fuori. Ho sempre considerato le elezioni come un valore senza paragoni, per me, per il paese e per quelli che ci vivono con me, e nessuno mi ha ancora proposto qualcosa di meglio in cambio. Nessuno ha proposte veramente rivoluzionarie o almeno plausibili e anche il revival della cosiddetta democrazia diretta non è altro che un falso richiamo in direzione di un miraggio.

Se le elezioni sono la gara tra quanti aspirano al potere, l’unico sistema di selezione della classe politica di cui disponiamo, non trovo alcun motivo logico o ragionevole per rinunciarvi e ancor meno mi sembra che lo integri la mancanza di candidati di mio gusto, peraltro sono di gusti difficili da soddisfare, lo riconosco, molto difficili da soddisfare e non ho certo la pretesa che si vada al voto per soddisfarli. L’astensionismo non è un’arma contro il sistema, è solo un sistema per abbassare la soglia di eleggibilità e con essa l’asticella della democrazia, serve solo a restringere l’esercizio decisionale a un numero minore di persone, più facile quindi da controllare, manipolare o comprare.

Meno votanti ci sono, meno impegno richiederà raccogliere un numero minore di voti, grazie ai quali si formeranno comunque governi e maggioranze parlamentari, in realtà espressione della volontà di una minoranza. Ma anche pienamente legittimate, e non delegittimate, da chi astenendosi ha passato volontariamente il testimone della scelta ad altri . Non è comunque solo un discorso che attiene alla logica e alla matematica, perché in questi giorni ho sentito molti chiamarsi fuori sul presupposto che l’offerta di partiti e candidati sia solo un menu di roba avariata riservato ai fessi. Una convinzione che di anno in anno si fa strada in sempre più persone e che non voglio liquidare come uno snobismo, perché non lo è, ha una base robusta di verità.

Mi chiedo però che intelligenza possa vantare chi, dopo aver concluso questo ragionamento,  decida di lasciare questa incombenza all’esercito di quelli che, ingannati dal sistema o semplicemente meno svegli a seconda delle versioni, andranno a votare comunque. Per non dire di quanti sprovveduti non sono, ma sono solo abbastanza tesi al risultato da votare anche lo sterco, purché si dichiari agli antipodi di quella sinistra caricaturale che la propaganda ha costruito nelle loro menti.

Certo, dopo il fallimento epocale dell’esperienza di destra e con essa del leghismo e dopo il collasso dell’eresia ultra-liberista, era lecito aspettarsi che la sinistra italiana si presentasse finalmente unita a chiedere voti per un progetto realmente progressista. Ma ormai è chiaro che la dirigenza del PD non ha una visione strategica che vada oltre la collaborazione con la destra clericale e moderata ed è in imbarazzo quando occorra dimostrare o “dire qualcosa di sinistra”. Così com’è chiaro che l’elettorato potenzialmente di sinistra è stato disintegrato da un frazionismo che, pur perfettamente calato nella tradizione, ne ha fatto una massa d’individualità che si guardano con sospetto e, quando va bene, si ritrovano a discutere contando i punti-militanza o a fare la gara dei puri che si lanciano scomuniche incrociate a beneficio di pochi astanti. Per questo è impossibile aspettarsi anche solo un ritorno alle urne in massa dei delusi di sinistra, che in teoria potrebbe numericamente spostare l’ago della bilancia con decisione. Anche perché molti di questi hanno riposto il loro entusiasmo e le loro speranze nel progetto di Beppe Grillo, che non è di sinistra e fatica anche a dirsi progressista, a meno che l’idea del progresso sociale non si sia ristretta pure quella a quattro slogan male arrangiati contro la casta.

E no, non voterò il meno peggio, cercherò di votare il meglio tra quello che c’è, perché sul menù ci sono piatti avvelenati che tutti già sanno avvelenati e che mi dovrò sorbire pure io, se saranno scelti da quanti andranno a votare. Non sono tutti ugualmente nocivi, alcuni hanno ingredienti che non sono di mio gusto, altri sono semplicemente immangiabili, alcuni possono persino rivelarsi letali, vado a votare proprio perché non voglio lasciare tutta ad altri la scelta di quello che mangerò nei prossimi anni. E lo farò anche se persone più intelligenti o sensibili di me non lo faranno, illudendosi forse che, lasciando ad altri la scelta, anche la peggiore pietanza avrà un sapore meno amaro. Anche perché quella minestra l’ho mangiata ogni giorno negli ultimi cinque anni e non ne posso più.

Pubblicato in Giornalettismo