La Francia ha vinto la guerra in Mali

Posted on 29 gennaio 2013

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Quelli che non sono morti in combattimento sono scappati, niente più islamisti nelle città settentrionali del Mali. Con l’annuncio dell’occupazione da parte dei francesi della città di Timbuctù e il quasi contemporaneo annuncio da parte dello MNLA di aver “ripreso” Kidal dopo che gli islamisti se n’erano andati, la guerra in Mali si può dire conclusa nel più breve tempo possibile e con un tributo di sangue tutto sommato modesto.

Non che fosse possibile un esito tanto diverso, gli islamisti che avevano occupato il vasto territorio abbandonato dai militari ammutinati al seguito dei velleitari indipendentisti “tuareg” dello MNLA, non erano migliaia, ma centinaia e non dispongono di alcun serio sostegno popolare, avendo peraltro provveduto fin da subito ad alienarselo, imponendo la loro particolare e crudele versione della legge islamica.

Da Kidal, ultima cittadina di una certa dimensione ancora non occupata dai francesi, se ne sono andati per evitare di rimanervi intrappolati, probabilmente fuggendo verso Nord, verso il vicino confine con l’Algeria. Il territorio del Mali non offre opportunità di nascondere gruppi armati al di fuori degli abitati e i locali imitatori dei talebani non sono i pashtun capaci di dileguarsi sui contrafforti montuosi dell’Afghanistan, ma piuttosto un insieme di bande armate che in campo aperto non hanno alcuna speranza contro un vero e proprio esercito.

E non l’hanno mai avuta, ed è anche per questo che all’inizio, pur convenendo all’unanimità sulla decisione di sloggiare questa incomoda presenza, la comunità internazionale se l’è presa comoda, assecondando e ascoltando le idee di tutti e infine risolvendo per un processo lungo e macchinoso. Un processo che faceva contenti i golpisti del Mali, che sarebbero restati più a lungo l’unico potere vero a Bamako, i vicini africani gratificati nella loro importanza, la Francia che non avrebbe fatto la figura del tutore coloniale, l’ONU che avrebbe potuto vantare l’oculata scelta di un mediatore esperto come Romano Prodi, l’Unione europea che ci avrebbe messo quattro soldi e gli americani che per una volta avrebbero partecipato agli onori senza oneri.

A scombinare il piano e a rovinare tutto ci hanno pensato gli aspiranti qaedisti del Maghreb in trasferta al Sud, che non è che nella vicenda abbiano mostrato una grande intelligenza tattica o capacità di saper leggere le mosse dell’avversario. L’avanzata a Sud e la presa delle città di Konna e Diabali che presidiano il territorio del Mali nel suo punto più stretto e che distano poche centinaia di chilometri dalla capitale Bamako, ha seminato il panico nella classe dirigente del Mali e anche nei golpisti del capitano Amadou Sanogo, che forse pensava di temporeggiare capitalizzando le divisioni della politica, ma che quel punto rischiava di passare alla storia come il responsabile della presa della capitale e di dover scegliere tra la fuga e il dare battaglia con quel che c’era ai ferocissimi invasori.

Il solitamente misurato presidente provvisorio Dioncounda Traoré, ha quindi avuto luce verde da tutti e invocato l’intervento della Francia, che a quel punto è entrata nel paese in risposta a una richiesta d’assistenza da parte del governo, previsto nel quadro dei trattati tra i due paesi, simili a quelli siglati da Parigi con altre ex-colonie africane. Un intervento non dissimile a molti altri, solo negli ultimi cinque anni il dispositivo militare che la Francia conserva nel cuore dell’Africa è intervenuto in battaglia in Libia, Costa d’Avorio, Ciad, Repubblica Centrafricana, Somalia e in certa misura anche in Niger.

Molti di più sono gli interventi simili dalla decolonizzazione a oggi, con la macchia del genocidio ruandese che ancora morde la coscienza dei francesi che ne hanno una e turba i sogni di alcuni ufficiali che potrebbero finire imputati in sgradevolissimi processi per quei fatti. Le truppe francesi hanno una grande esperienza di Africa, conoscenza del terreno e legami saldissimi con i governi delle ex-colonie, per lo più affidati a dittatori in ottimi rapporti con l’Eliseo che guardano a Parigi come al centro del loro universo di riferimento.

Un aereo mandato a tirare una bomba davanti a una colonna che si dirigeva verso la capitale del Ciad è bastata qualche anno fa a schiarire le idee ai ribelli, che pure erano arrivati ad assediare l’edificio della presidenza. Le ex colonie hanno una buona disponibilità di armamenti, ma non hanno aviazione e restano alla mercé della potenza francese, quando in Costa d’Avorio la locale e modesta aviazione è stata impiegata per bombardare a sorpresa un contingente francese di stanza nel paese è poi stata distrutta e i francesi hanno poi dato la caccia all’ex-presidente Gbabo fin dentro la sua residenza per poi assicurarlo alle cure del Tribunale Penale Internazionale, che finora nella sua esistenza ha realizzato  l’incredibile record di aver imputato solo criminali neri e africani.

Fatti noti che spiegano perché i neo-qaedisti in Mali avessero lasciato perdere la predicazione calcata sull’invocazione di Allah e dei suoi voleri, preferendo una più classica critica al colonialismo, più familiare alle popolazioni dell’Africa subsahariana, che però non hanno abboccato, preferendo in blocco l’imperialismo noto dei parigini a quello oscuro e confuso dei sedicenti costruttori del grande emirato panislamico che era nei sogni di Bin Laden e di altri barbuti rovinati dal fanatismo religioso.

Lasciata la questione nelle mani dell’Armée, Hollande ha potuto raccoglierne i frutti in fretta. Sbarcati a Bamako mentre l’aviazione bombardava fin dalle prime ore i cattivi ovunque restassero allo scoperto in tutto il territorio del paese, i francesi hanno dato la sveglia ai soldati maliani e li hanno condotti al fronte, dove non hanno dovuto poi affrontare grossi pericoli, vista la “protezione” offerta dallo strapotere francese.

L’operazione sembra sia stata condotta con una discreta pulizia e precisione, evitando i bagni di sangue tra i civili e gestendo alla perfezione la comunicazione del conflitto. Alle zone di guerra i giornalisti hanno potuto accedere solo una volta che sono state “messe in sicurezza” e ripulite dai cadaveri, tanto che non è data alcuna stima sulle vittime dall’una e dall’altra parte. L’inconsistenza militare del potere che si era costituito nel Nord, ha avuto anche l’effetto di convincere i loro alleati locali a offrirsi con entusiasmo al dialogo e all’unità nazionale, lo stesso MNLA che aveva dichiarato con entusiasmo l’indipendenza dell’Azawad e poco dopo se l’è fatto scippare dagli islamisti ha ripiegato su un’autonomia regionale e anche gli islamisti di Ansar Dine sono stati disintegrati dalle scissioni. Una tendenza che sembra andare d’accordo con la buona accoglienza riservata ai “pentiti” da quei maliani che non erano scesi a compromessi con AQMI e soci.

L’intervento disciplinare francese è quindi già concluso e tutto si risolverà lasciando gli uomini del contingente panafricano, pure loro gentilmente invitati all’urgenza e trasportati nel paese da Parigi e dai soci della UE, a presidiare le città liberate, mentre un contingente francese di specialisti resterà pronto a reprimere eventuali criticità e a rassicurare i politici maliani contro le prepotenze degli ammutinati.

La guerra, iniziata l’undici gennaio con i primi bombardamenti francesi a poche ore dalla richiesta d’aiuto di Traorè è quindi durata meno di venti giorni e per ora si è estesa solo all’Algeria, dove quelli di Aqmi giocano in casa al punto pare che l’azienda di trasporti del fratello del loro capo avesse un appalto con i gestori dell’impianto attaccato. Anche in questo caso però l’azione ha dimostrato la fondamentale incapacità di leggere l’avversario, perché i sequestratori che volevano usare gli ostaggi per fermare gli attacchi francesi in  Mali sono stati annientati dalle autorità algerine, insieme a un gran numero d’ostaggi, prima che il loro leader riuscisse a formulare la lista delle richieste che sperava di capitalizzare.

Niente attacchi al territorio metropolitano francese e nemmeno il moltiplicarsi di attacchi e atti di terrorismo, dopo la carneficina di In Amenas si è visto solo un molto più modesto attacco a un oleodotto che attraversa la roccaforte dei gruppi estremisti in Algeria, le minacce di Belmokhtar e soci per ora si sono rivelate sparate retoriche senza molta sostanza, non certo quella necessaria e poter ipotizzare la presa e il mantenimento di un territorio nel quale costruire l’emirato del Maghreb. Un sogno che, se davvero è mai stato condiviso da qualcuno, sembra del tutto destituito di qualsiasi fondamento e di qualsiasi possibilità di realizzazione.

Quattro briganti si sono impadroniti di un mezzo paese africano per quasi un anno e lo hanno potuto fare perché della sorte degli abitanti di quella regione, come prima di quelli del Ruanda e di altri paesi, non valgono un solo voto in Europa o negli Stati Uniti e valgono poco anche per la classe dirigente del Mali, la sofferenza delle centinaia di migliaia di persone fuggite all’arrivare degli islamisti non hanno intenerito nessuno, non hanno spinto a nessuna urgenza, a malapena qualche soccorso “umanitario”.

Alla fine Parigi è intervenuta a riportare l’ordine in punta di fucile, come spesso le è accaduto nelle ex-colonie africane, dove ancora Parigi conserva gelosamente gli oneri e gli onori riservati al padrone del bastone. L’ONU e tutto il resto del circo questa volta sono arrivati fuori tempo massimo, troppo lento Prodi, troppo lenta l’Unione Africana. Hollande ha così potuto portare a casa una vittoria a buon mercato, confermata dagli abitanti del Mali che hanno accolto festosi le truppe francesi, uno spettacolo che non si è visto spesso negli ultimi anni e che non si è mai visto in particolare negli altri sette paesi a maggioranza musulmana bombardati o invasi dalla coalizione occidentale impegnata nella cosiddetta “war on terror”. Un punto per monsieur Hollande, adesso Prodi e l’ONU hanno un sacco di tempo per convincere i maliani a rattoppare quella democrazia traballante che aveva garantito al paese un paio di decenni di pace e tranquillità e a tornare padroni del loro paese.

Pubblicato in Giornalettismo

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