Quelli che hanno perso davvero la guerra

Posted on 20 aprile 2012

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Al mondo ci sono oltre 26 milioni di persone che hanno dovuto lasciare le proprie case in fuga dalla violenza, pur rimanendo all’interno dei confini del proprio paese.

Secondo il rapporto annuale pubblicato dal Norwegian Refugee Council il paese con il numero più alti di rifugiati è la Colombia, che con un numero che variava dai quattro ai cinque milioni alla fine del 2011 è saldamente in testa a questa particolare classifica. Un primato che sfugge all’osservazione dei media internazionali e delle opinioni pubbliche, che non hanno l’esatta misura di cos’abbiano provocato nel paese oltre vent’anni di “war on drugs” statunitensi, ingrassate da imponenti forniture di aiuti militari ai governi di Bogotà, che per parte loro hanno dedicato più della metà del bilancio statale per combattere guerriglie armate nutrite dal commercio della droga e dall’altissima corruzione che caratterizza il paese sudamericano. Inutile dire che la War On Drug è stata persa come altre guerre e che a guadagnarci sono stati solo i produttori statunitensi di hardware bellico e alcuni selezionati contractor americani.

Inutile dire inoltre che, nonostante il fallimento americano sia stato riconosciuto dallo stesso Congresso, gli Stati Uniti continuano a finanziare l’iniziativa come se niente fosse, anche ora che nonostante la “guerra” o forse proprio grazie ad esse, anche il Messico è avviato a diventare un narcostato. Ipotesi alternative non sono nemmeno allo studio, si sa che la War on Drugs è un approccio perdente e costoso, ma in mancanza di meglio si continua a perseverare nell’errore e a scavare un fallimento sempre più evidente, a discapito dei colombiani e a beneficio di pochissimi.

Molti meno (relativamente) sono invece i profughi interni in fuga dai fuochi della primavere arabe, che nel 2011 sono stati 830.000, con un deciso aumento rispetto ai 177.000 dell’anno precedente, mezzo milione dei quali solo in Libia. Un numero che a fine anno è calato a 154.000 unità, per lo più persone vicine al regime di Gheddafi che temono di essere in pericolo se ritornano a casa. A questi si sono aggiunti 175.000 yemeniti e  154.000 siriani, che si sono andati a sommare ai quasi due milioni (2.000.000) d’iracheni che hanno trovato asilo nel paese, dopo l’invasione americana del loro.

L’Iraq resta ai primi posti anche per il numero dei profughi all’interno delle frontiere, anche questo prossimo ai due milioni. Nemmeno in Afghanistan va troppo bene, nel 2011 il numero di nuovi profughi è aumentato dell’80% rispetto all’anno precedente.  Va meglio invece in Africa, con alcune eccezioni, prime fra tutte quelle del Sudan e del suo nuovo fratello meridionale. Sudan e Sud Sudan si trovano a fare i conti con centinaia di migliaia di nuovi profughi, provocati da conflitti interni e forse per questo i due governi hanno deciso di farsi la guerra, che non risolverà i problemi, ma che chiama tutti al sostegno patriottico di governi che non governano perché troppo occupati a depredare e risorse dei rispettivi paesi.

Anche la Costa d’Avorio rappresenta un paese in controtendenza, con più di un milione di rifugiati dall’inizio dell’anno, dopo che tra le fazioni che sostenevano i due candidati alle presidenziali hanno dato la parola alle armi. Molto meglio nel resto del continente, dove un milione e mezzo di rifugiati ha fatto ritorno alle proprie case o a quello che restava. Costa d’Avorio, Uganda e Ciad hanno segnato significativi ritorni.

Di tutta queste persone, pochissime arrivano a bussare alle porte dei 44 paesi considerati industrializzati in cerca d’asilo, appena 441.300, che sono più dei 368.000 del 2010, ma che sono meno dei soli ospiti del campo profughi di Dadaab, che in Kenya ospita più di 450.000 somali non compresi tra i rifugiati “interni”. Il nostro paese è quello che ha visto il maggiore aumento di domande d’asilo, arrivate a 34.000 con un aumento del 240% sull’anno precedente. Non per questo abbiamo fatto passi avanti nel numero di rifugiati accolti, che resta inferiore persino a quello di piccoli paesi come l’Olanda e circa dodici volte più basso di quello della Germania, circa cinquantamila contro seicentomila.

L’Italia continua una politica di respingimento implicita e a venir meno ai suoi obblighi internazionali, tanto che tra le procedure eterne e la qualità dell’assistenza ai rifugiati il nostro paese può essere considerato a buon titolo la pecora nera dell’Occidente, visto che arriva ad ignorare e trascurare persino il flusso di minori soli che giungono nel nostro paese in fuga dall’Afghanistan, che non vengono espulsi, ma neppure presi in carico da strutture pubbliche come la stessa legge italiana e le convenzioni che abbiamo sottoscritto imporrebbero.

Tra i richiedenti asilo nel mondo gli Afghani sono saldamente in testa, seguiti da cinesi e iracheni, ma se possono attraversano il nostro paese senza prendere contatto con le autorità, perché vorrebbe dire condannarsi ad avere a che fare con le istituzioni italiani, alle quali sarebbero legati dal principio secondo il quale i rifugiati se li tiene il primo paese europeo dove sbarcano. Che in questo caso vuol dire condannarsi a vivere in un limbo lungo diversi anni in attesa che le autorità italiane si degnino di regolarizzare le loro posizioni permettendo di evadere da una realtà fatta di alloggi di fortuna, pasti alle mense dalla Caritas e di un permesso provvisorio che non permette di lavorare o intraprendere alcuna attività.

I paesi che potrebbero aiutare queste persone hanno evidentemente altre priorità anche quando non si arrivi a casi-limite come quello rappresentato dall’Italia, che nel bel mezzo di una crisi umanitaria non ha trovato di meglio che alimentare una polemica xenofoba e schierare i propri militari per fermare i profughi in fuga dallo stesso paese che l’Italia stava contribuendo a bombardare. Una vergogna amplificata dal fatto che le Tunisia nello steso lasso di tempo ha accolto dieci volte il numero di profughi che hanno toccato le nostre spiagge, molti dei quali sono addirittura stati rimandati indietro in plateale violazione degli obblighi che il nostro paese si è assunto verso i profughi di guerra e riguardo al rispetto dei diritti umani.

pubblicato in Giornalettismo