Iraq, la rivolta sunnita

Posted on 5 Maggio 2013

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Al Maliki è politicamente più debole che mai e scoppia una nuova rivolta sunnita.

IRAQ-VOTE-PROVINCIAL

AL VOTO DELUSI – Si sono appena tenute le elezioni locali in 12 delle 18 province irachene, dal 20 aprile  i dati non ci sono ancora, ma l’affluenza dovrebbe essere stata in calo e in netto calo dovrebbero essere i consensi per la coalizione di al Maliki, lo Stato di Diritto (State of Law), che potrebbe perdere la maggioranza in molte province. Il tutto considerando che le elezioni sono state posticipate nelle altre sei province, quelle che non sono a maggioranza sciita, a causa delle violenze. Dove ovviamente al Maliki non ha speranze. Previsioni negative confermate dall’affluenza, bassa anche nelle zone più tranquille a maggioranza sciita, mentre gli elettori sunniti sono stati demotivati dall’uccisione di ben 14 candidati. Sono state le prime elezioni dopo il relativo ritiro americano, e sono arrivate in un momento nel quale le statistiche relative alle violenze stavano declinando dopo un picco determinato in autunno dalle proteste contro le condanne alla pena capitale di alcuni leader sunniti a capo di piccoli eserciti privati che si sono macchiati di numerosi delitti. Delusione subito rinforzata dalla notizia della scoperta dell’ennesima truffa allo stato quella di Jim McCormick, l’astuto britannico che ha fatto i miliioni spacciando nel paese migliaia di detector anti-bomba finti, truffa che ovviamente ha reclamato un buon numero di vittime che si sarebbero potute risparmiare se non si fosse riposta fiducia nei suoi prodotti fasulli.

LA SCINTILLA – Ad accendere le polveri in questa occasione sono stati proprio gli uomini di al Maliki, che il giorno prima delle elezioni hanno reagito all’uccisione di un soldato nella città a maggioranza sunnita di Hawija assediando un sit-in di centinaia di sunniti e dopo quattro giorni di trattative all’alba del 23 lo hanno attaccato con i blindati, diranno poi che la manifestazione era “infiltrata da elementi baathisti e qaedisti”, è finita con tre soldati morti e decine di sunniti tra morti e feriti

IL RIMEDIO – Alla notizia del massacro due ministri sunniti del governo Maliki si sono dimessi, portando a quattro il numero di quelli che hanno lasciato dal primo marzo, mentre i partiti sunniti hanno annunciato che boicotteranno le sedute parlamentari. Maliki ha ordinato un’inchiesta e ne ha affidato la supervisione a  Saleh al-Mutlaq, uno dei pochi tra i principali politici sunniti con i quali ancora riesce ad avere un dialogo. Un posizione molto debole la sua, già boicottato anche dai ministri curdi e da altri membri del parlamento, oltre che dai franchi tiratori sciiti che più di una volta hanno impallinato le sue proposte. Ieri al Maliki era in televisione, a fare un appello alla nazione contro il il ritorno alla “guerra civile settaria perché negli ultimi tre giorni ha dovuto contare 179 morti, 286 feriti e una vera e propria insurrezione delle province sunnite. Maliki ha fatto appello agli iracheni, perché prendano l’iniziativa e non rimangano in silenzio, ma non è chiaro quanto possa servire.

LA VENDETTA – Gli scontri, tutti intitolati alla vendetta per i morti di Hawijah ed estesi fino a Mosul, dove si sono contati più di 40 morti, sono stati accompagnati dalla richiesta di dimissioni del primo ministro e dall’accusa alle autorità di bersagliare le comunità sunnite con arresti arbitrari e accuse di terrorismo. Che poi è il motivo alla radice della tensione che da mesi ha spinto i sunniti a riprendere le armi, visto che la giustizia irachena ha fatto fuori alcuni grossi calibri sunniti portando a processo i loro eserciti più o meno privati, mentre la stessa sorte non è toccata ad analoghe milizie sciite o curde.

LA RIVOLTA – Si sono così succeduti attacchi a poliziotti e militari, bombe e autobombe e c’è stato persino un elicottero bersagliato con una mitragliatrice pesante, a testimoniare una diffusione delle armi ancora pressoché ubiqua. Nuovo punto di crisi è diventata Sulaiman Bek, nella provincia di Salaheddin, dove secondo le informazioni che il generale iracheno Ali Ghaidan Majeed ha detto (ad AFP) di aver ricevuto dall’intelligence, ci sono circa 175 miliziani armati, 25 qaedisti e 150 dell’esercito di Naqshbandiya, un gruppo militante sunnita, che si sono impadroniti della città dopo che esercito, polizia e un buon numero di abitanti sono fuggiti.

L’ASSEDIO – Città attorno alla quale il generale sta concentrando i rinforzi dopo aver lanciato ai miliziani un ultimatum a lasciare la città entro 48 ore. Nella retorica risuonata da quelli di Naqshbandiya gli sciiti sono definiti Safavid, che è termine per niente rispettoso e si proclama vendetta per i morti di Hawija, ma più che verso la vendetta il gruppo corre verso il martirio proprio e della città occupata, se si arriverà davvero allo scontro. l’esercito iracheno ha da tempo recuperato l’indiscussa supremazia negli scontri a fuoco, che d’abitudine si concludono malamente per gli opponenti anche quando sono bene armati.

LA PALLA AL GOVERNO – Per di più al Maliki non ha mai fatto mostra di trattenersi o di trattenere le forze di sicurezza, autrici di egregi e discutibili massacri, a lungo anzi ha cercato di darsi l’immagine di uomo forte e deciso nello stroncare la violenza settaria e nel portare avanti un’agenda non confessionale. Purtroppo nella realtà il tutto si è risolto con pochi problemi per i gruppi sciiti e un progressivo deteriorarsi dei rapporti con quelli sunniti, anche quelli più pacificati, che in questa evidente asimmetria ci hanno letto una chiara persecuzione. Aggiungere un massacro in una situazione del genere non sembra l’opzione migliore, se si vuole evitare che dilaghi la violenza settaria, per questo c’è da sperare che al Maliki non provi a rispondere alla crisi di consenso alzando il livello dello scontro, per presentarsi ancora una volta come unico bastione contro una morte un po’ peggiore.

Pubblicato in Giornalettismo

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