L’agenzia per la protezione ambientale americana, l’EPA, comunica che il famoso mais transgenico di Monsanto è diventato una prelibatezza per gli insetti infestanti, che nel giro di qualche generazione si sono abituati al mais geneticamente modificato e alle sue difese. Tanto che ora proliferano nutrendosi proprio delle radici del mais, incuranti del fatto che quelli di Monsanto lo abbiano dotato di una “proteina killer” che li dovrebbe lasciare stecchiti.
Monsanto ha reagito negando, ma a ruota è arrivata una radio del Minnesota a raccogliere le testimonianze degli agricoltori, che vedono le loro piante con le radici danneggiate incapaci di assorbire la già scarsa acqua che offre la stagione siccitosa e che hanno assistito allibiti persino al crollo delle loro piantagioni sotto l’azione del vento (!). Niente più invulnerabilità ai parassiti e niente più guadagni moltiplicati dalla grande innovazione scientifica quest’anno, solo raccolti finiti nella pancia dei vermi e denaro finito nelle casse di Monsanto, che ora potrebbe anche essere esposta a poderose richieste di danni, visto che il suo miracoloso prodotto ormai non mantiene più quanto promesso dall’azienda.
Per risolvere il problema basterebbe tornare alla tradizionale rotazione delle culture, perché questi parassiti si nutrono solo di mais e morirebbero quindi di fame in sua assenza, se non fosse che la rotazione è stata abbandonata proprio in vista delle maggiori rese proposte da Monsanto e che ora gli agricoltori sono ormai da anni legati a una monocultura. Una pratica che ovviamente ha favorito l’adattamento e il proliferare tra gli insetti di quelli geneticamente insensibili alle difese di Monsanto. Ci sono voluti appena 15 anni perché la natura prendesse le misure al mais di BT e alle sue “innovazioni”, spinte con grande foga da politici e scienziati vicini a Monsanto, e ora che è accaduto non esiste un piano B, se non quello di tornare ai metodi tradizionali e rinunciare ai servigi di Monsanto, che così però non guadagnerà che una frazione di quanto ha ottenuto legando gli agricoltori mani e piedi al suo prodotto.
icittadiniprimaditutto
15 agosto 2012
Reblogged this on i cittadini prima di tutto.
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fausto
16 agosto 2012
Ci aggiungerei un paio di osservazioni.
1: l’evoluzione della resistenza è stata estremamente rapida. Nel caso delle piante “roundup ready” le infestanti hanno superato l’ostacolo in pochi anni, dato che già nei primi anni ’00 erano note varietà refrattarie ai trattamenti con glifosato. Una velocità che ha sorpreso anche i pessimisti come me.
2: in tutti i casi, incluso il mais con la tossina del “bacillus turingensis”, il fallimento della pianta ingegnerizzata non ci porta al punto di partenza. Ci fa scivolare più in basso, e di parecchio: giacché ora il principio attivo è divenuto inutile, e questo significa che siamo destinati a perdere anche la possibilità di applicarlo per via tradizionale. Non abbiamo perso solo la pianta “roundup ready”: abbiamo perso anche ogni possibilità di impiego del glifosato.
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Marcello Pinti
16 agosto 2012
…un po’ troppi luoghi comuni in questo articolo, però.1) Qualunque variante genetica (ottenuta mediante procedure di laboratorio, o per selezione naturale di varianti in campo) che conferisce nuove proprietà ad una pianta porta, prima o poi, alla comparsa di predatori resistenti, quale che sia la sua origine: è la selezione naturale di Darwin. Il mais BT si comporta come qualunque variante coltivata di qualunque pianta. 2) Quello stesso insetto attacca e ha sempre attaccato anche il mais non BT, che necessita per impedirne la proliferazione di trattamenti con fitofarmaci. 3) Le “monoculture” di mais negli USA c’erano prima del mais BT e ci saranno anche dopo. 4) “colture tradizionali” non vuol dire praticamente nulla: il mais come lo conosciamo oggi, BT o no, di “tradizionale” non ha niente. Che vorrà dire poi, “tradizionale”…
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mazzetta
16 agosto 2012
tradizionali era riferito alla rotazione. per il resto concordo, si sapeva da prima che sarebbe finita così, nonostante le affermazioni (propaganda) di Monsanto di segno diverso
la monocultura in anni consecutivi invece prima non c’era, si faceva a rotazione, se leggi ai link raccontano proprio di questo cambiamento “culturale”, grazie alle possibilità offerte dal BT. il che ha portato a una selezione naturale ancora più veloce degli esemplari resistenti, che ad ogni generazione hanno trovato la tavola apparecchiata per i pargoli e si sono potuti moltiplicare.più di quanto potesse accadere con la rotazione, che li condannava ad anni di carestia
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uitko
19 agosto 2012
maz, rispondo da agronomo per una volta.
Le obiezioni di Marcello sono vere.
Il problema della monocoltura non è legata all’OGM, ma di fatto alla nostra economia. Infatti anche nella pianura padana, dove non ci sono OGM, il mais è la monocoltura principe.
Il punto è che gli OGM ci furono presentati come soluzione al problema dell’agricoltura. Nella fattispecie, una riduzione dei fitofarmaci per il mais.
Ma chi conosce il sistema agrario sa bene che ciò avrebbe portato solo ad ulteriore intesivizzazione. Che poi è ciò che è successo, mantenendo intatti i problemi di queste attività che sono si limitano agli insettticidi (eccessi produttivi, liquami, nitrati in falda, consumi energetici etc.).
Fare delle rotazioni, o lasciare aree rifugio per il parassita, sono soluzioni tanto semplici da sembrare idiote. Perchè non si fanno?
Semplice, non sono renumerative. E’ l’economia che fa andare la baracca, giusamente gli agricoltori devono far quadrare il bilancio mica pensare agli equilibri del pianeta tra 30 anni.
E permettimi di dire che se il mais Bt era la soluzione finale allora gli USA avrebbero dovuto preservare questa risorsa e dare dei gran finanziamenti per far mentenere ad ogni azienda un’area rifugio piantata con mais “normale”.
Un appunto invece contrario a quanto dice Marcello.
E’ vero che l’uomo ha sepre selezionato specie resistenti, produttive etc.
Ma l’ha sempre fatto “frugando” nel patrimonio genetico della specie, o aal massimo con incroci.
Non mi addentro nella questione OGM, ma ciò che è stato fatto per il mais Bt non ha precendenti e non può essere liquidato con un “masssì, lo si è sempre fatto”.
raga, parliamo di un mais con una proteina batterica….una cosa incredibile!
Gli scopi son sempre quelli ok, ma almeno rendiamo onore agli scienziati che han fatto qualcosa di più dei cacciatori-raccoglitori del neolitico no?
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Taliesin
20 agosto 2012
Rendiamo gloria e onore, anzi ci prostriamo all’estrema saggezza degli ingegneri genetici che ci hanno venduto a caro prezzo un bellissima invenzione inutile. Fra tutte la frase ” Gli agricoltori devono far quadrare il bilancio mica pensare agli equilibri del pianeta tra 30 anni” mi lascia di stucco, che forse gli agricoltori sono esentati dalla salvaguardi dell’ambiente? Allora con questo stesso discorso l’industriale non deve pensare solo a far quadrare il bilancio sticazzi dell’ambiente? Massì non siamo più nel neolitico baby questo è la scienza moderna, la vuoi la colata continua all’ILVA? E allora beccate pure la diossina e non caga il cazzo eh che qui si fa business mica pizza e fichi! Madò se te sei un agronomo non stento a credere che l’agricoltura sia ormai così scollata dall’ambiente, ma dov’è che hai studiato scusa? So’ curioso quale grande genio di docente ha sfornato un genio come te!!
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uitko
20 agosto 2012
Milano, mandami la mail e ti mando il curriculum coi nomi di tutti i prof.
Ho solo espresso quella che è la realtà dei fatti. L’agricoltore non è un gaurdiaparchi, è un imprenditore.
Scusami ma mi aspettavo un commento come il tuo. Se ci fai caso io non ho lodato gli OGM, e nemmeno gli effetti negativi delle produzioni industriali. Ho solo mostrato che non basta dire “proteggiamo la natura, no ogm” per cambiare le cose.
Le cose le cambi perlomeno sapeno che sistema hai sotto il naso. Se crediamo che l’imprenditore agricolo debba proteggere l’ambiente dobbiamo pagarlo per farlo. O punirlo se non lo fa. Infatti anche le industrie, se non sono costrette e/o incentivate, non proteggono proprio un cazzo di nulla.
L’azienda agricola mica è l’orticello dietro casa. Dire all’agricoltore “non fare monocoltura di mais” significa per lui non riuscire il prossimo anno a parare affitti, spese di produzione e gli stipendi agli operai (lo sai vero che le aziende che ti danno da mangiare non sono a conduzione famigliare vero?).
Se credi che l’agricoltore debba prendere decisioni non solo in base al bilancio aziendale ma anche in base ad altri criteri (ed in parte già lo fanno), bene, mettiti nell’ottica che c’è tutto un sistema produttivo da rivoltare come un calzino.
P.S. la tua limitatezza intellettuale è palese anche dal fatto che non hai compreso come il mio commento sulla ricerca scientifica sugli OGM fosse ironico, rispetto alla banale semplificazione fatta da Marcello.
P.P.S. non hai idea di chi ci sia dall’altra parte della tastiera quindi non comportarti da spaccone, impara a leggere due volte ciò che uno scrive, usala rete per capire e non per inalberarti non appena non leggi le perole d’ordine che invece vorresti vedere. Tu sei come tutti gli altri. Tu non vuoi capire o sapere, vuoi solo leggere ciò che già hai nella tua testa. Auguri.
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mazzetta
20 agosto 2012
mai detto il contrario sulla monocultura, che però dall’introduzione del BT è diventata perenne in certe aree, visto che dalle culture alternative Monsanto non guadagna e visto anche il contemporaneo emergere dei fondi per i cd carburanti verdi
io non sono affatto contrario alla scienza e tantomeno alla selezione di piante più utili, ma una cosa è procedere ad esempio con la MAS (http://it.wikipedia.org/wiki/Selezione_assistita_da_marcatori) di cui non si parla mai e chiedetevi perché, altro è mettere sul mercato semi sterili in condizione di monopolio dopo averli ingegnerizzati
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Marcello Pinti
31 agosto 2012
…mi ero perso anche il commento di Mazzetta, cui rispondo ora nel merito. 1) La MAS è una tecnica che può essere utile in molti casi, ma non può essere sostitutiva delle tecniche basate sul DNA ricombinante. Per motivi che per brevità non sto ad esporre, è utile solo a) per le piante che hanno una variabilità genetica in partenza elevata, e b) solo se in una delle piante che si intende incrociare esiste una variante di un gene che conferisce una caratteristica voluta. Cosa che non sempre è vero (anzi, a dire il vero non è vero molto spesso). Nel caso di piante come la banana, ad esempio, la MAS è completamente inutile. 2) I semi OGM NON sono sterili, questa è una delle tante leggende metropolitane che continua a circolare sugli OGM, non so perché. C’era stato un tentativo di Monsanto di realizzarli, ma non se ne fece più nulla. E d’altra parte, se fossero sterili non ci sarebbe il problema dell’incrocio non voluto (contaminazione) con le varianti non OGM, questione sempre sollevata da chi si oppone agli OGM. La realtà del contadino buono vessato dalla Monsanto che la costringe a comprare i suoi semi ogni anno esiste solo nella fantasia di chi non ha mai coltivato nulla. I contadini ricomprano i semi ogni anno perché conviene, OGM o non OGM! Sono ibridi F1, molto più produttivi e resistenti, danno prodotti di dimensioni simili, sono testati in partenza per non essere infetti da virus. E d’altra parte qualunque nonno che si pianta il pomodoro in giardino va al consorzio agrario a comprarsi i semi in busta, ci avete fatto caso? Non è la Monsanto cattiva che lo costringe, è che sono molto migliori, e germinano quasi tutti. 3) le condizioni di monopolio, paradossalmente, sono frutto della legislazione iperpunitiva nei confronti degli OGM. Detto in parole povere, sotto la pressione delle organizzazioni ambientaliste (che erano certamente in buona fede) sono state introdotte delle leggi che impongono test di sicurezza e di non tossicità delle piante OGM assolutamente spropositati, e i cui costi sono, di fatto, sostenibili sono da aziende di grandi dimensioni. La ricerca pubblica non può spendere 20 milioni di euro per testare un san marzano OGM resistente a virus. La Monsanto d’altra parte fa i propri interessi, e i 20 milioni li spende per il mais, che si coltiva ovunque, e serve per produrre praticamente ogni cosa, dai sacchetti di plastica alle merendine, e se ne frega delle piante meno redditizie.
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Marcello Pinti
31 agosto 2012
Mi ero perso questo commento, e rispondo solo ora. Solo per dire che non intendo minimamente banalizzare il lavoro di chi ha messo a punto il mais Bt, né in generale il lavoro degli scienziati, sono uno scienziato anche io! (e non dimentichiamoci che la tecnica di cui si parla, il DNA ricombinante, è la stessa usata per produrre molti farmaci salvavita, per cui piano a demonizzarla…). Volevo solo puntualizzare che l’equivoco di fondo che noto in quasi tutte le discussioni sugli OGM è che si discute non se il prodotto sia buono o cattivo, utile o no, migliore o peggiore di altri. Si discute di COME si è arrivati ad ottenerlo, e questo è il parametro di giudizio unico utilizzato. Se si parte, come si fa per ogni altro prodotto dell’ingegno umano dal giudizio del prodotto in sé, si conclude che gli OGM non sono né il male assoluto, né la soluzione alla fame nel mondo. Ogni OGM va giudicato per le sue qualità, e se sarà migliore di altre coltivazioni, i contadini (che sono imprenditori come tutti gli altri!) lo coltiveranno, e i consumatori lo acquisteranno. Se sarà un pessimo prodotto, non lo comprerà nessuno.
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Marcello Pinti
16 agosto 2012
Conosco abbastanza bene il problema, e la pratica della monocultura era ed è diffusa anche laddove non si coltivano piante transgeniche. Che sia una scelta oculata, non lo so (a proposito, uno dei link non funziona). Un errore sicuramente commesso da chi usa mais BT è non lasciare, come andrebbe fatto, una zona di rifugio seminata a mais non BT, che serve a ridurre la pressione sul mais BT (ovvero, il parassita trova terreno fertile per riprodursi lì e non è sottoposto ad una pressione enorme per sviluppare resistenza al BT).
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fausto
20 agosto 2012
@ uitko
Credo di poter essere d’accordo con quasi tutto, e in questo genere di diatriba mi capita così raramente che è quasi un miracolo. Ti ringrazio per la puntualità delle osservazioni e per il senso pratico.
La pressione esercitata dalle monocolture Usa (o quasi – monocolture, alternare soia e mais per vent’anni non è rotazione colturale) è stata micidiale sull’Europa; i coltivatori diretti europei si sono dovuti arrendere, impossibile reggere quei prezzi. Io sono una delle tante persone che hanno dovuto fuggire dai campi a causa di queste trasformazioni: se ho studiato e non ho portato avanti l’azienda di famiglia, è stato per la mancanza di prospettive. E d’altronde il mais Usa non concedeva margini nemmeno prima degli Ogm, figurarsi dopo.
Nell’immediato futuro vedo molta fuffa propagandistica: passeremo il tempo a raccontarci che è colpa della siccità, e che passata quella andrà tutto a posto. Purtroppo non andrà a posto niente: alcuni danni cumulati latenti sono lì ad aspettarci, come ricordato da Mazzetta. La pioggia non farà altro che renderli nuovamente visibili. Spero almeno che la discussione sulle tecniche di miglioramento varietale esca dal campo dell’ideologia e rientri in quello, più consono, della tecnica e della sicurezza alimentare.
Nel mentre, per farci due risate insieme, segnalo che si è riaccesa la discussione attorno alle farine animali. Dopo aver sterminato l’intero patrimonio bovino britannico ed aver seminato morte in tutta Europa, evidentemente vogliamo provare a mangiarci anche polli scemi ed anatre cretine. Siamo messi bene.
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anton giulio lotti
21 agosto 2012
che questo serva da lezione una volta per tutte… giocare a fare DIO non paga …anzi la natura si riprende tutto quello che gli spetta … impariamo invece a rispettare la natura e i suoi cicli con un sistema economico compatibile con i ritmi della natura, niente sprechi, produrre di meno e risparmiare di più… la produzone attuale spreca una immensità di risorse che vanno perse … la fame nel mondo si risolve se si eliminano gli sprechi e si redistribuisce la ricchezza … e’ una ricetta politico-economica-ambientale che non piace alle multinazionali e ai poteri che ci sono dietro … la natura ci da delle lezioni che DOBBIAMO COMPRENDERE PER TORNARE INDIETRO …
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