Mercenari, come ti privatizzo la guerra

Posted on 1 dicembre 2011

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Anche in Giornalettismo

La storia della guerra in Libia è storia di mercenari. Sul campo poche unità militari regolari, non l’esercito libico che ha palesato la sua inconsistenza, ma pochi battaglioni fedeli alla dittatura affiancati malamente da mercenari arruolati da Gheddafi o da rinforzi inviati non ufficialmente da qualche potente africano, poca cosa. Il resto dello spettacolo bellico è stato offerto sotto la regia NATO dai bombardamenti aerei dell’alleanza, dalle improvvisate truppe ribelli rinforzate da pochi volontari stranieri affiancati da una pletora di mercenari sopraggiunti a gruppi, con missioni e mandanti diversi. Chi per addestrare ed armare i ribelli, chi per proteggere patrimoni d’interesse economico e strategico rilevante, chi ancora per missioni spericolate, come l’esfiltrazione dal paese dei membri della famiglia Gheddafi.

Per la maggior parte di loro non ci sarà memoria, soprattutto tra quelli schierati per Gheddafi, ma alcuni sono già entrati nella storia del conflitto e ad altri sono già stati tributati onori pubblici, come nel caso dell’intitolazione di una loggia massonica libica al francese Pierre Marziali, presidente e proprietario della Compagnia Militare Privata (PMC) Scopex, probabilmente l’unica compagnia del genere in Francia, capace in passato di concludere con il fantasma del governo somalo un contratto per il controllo delle coste somale per la repressione della pirateria, la sua memoria è stata onorata ufficialmente in Francia come in Libia.

Marziali, che secondo la stessa Scopex era impegnato in “una missione ordinata dal governo francese”, ha trovato la morte in una sparatoria dai dettagli mai chiariti.

Sono molti i mercenari che dalla fine del conflitto hanno raccontato la loro esperienza e tutti sostengono la liceità del loro impiego, fondamentalmente dichiarandosi semplici incaricati della protezione di qualche interesse o personaggio. Non per tutti è così semplice, soprattutto per quanti sono stati impegnati al fianco del dittatore e della sua famiglia e coinvolti in combattimento, molti di loro avrebbero volentieri evitato la pubblicità, ma circostanze non dipendenti dalla loro volontà hanno reso pubbliche le loro gesta, così sono stati costretti ad impegnarsi in una strategia di riduzione del danno, nella speranza di evitare conseguenze penali nei paesi d’origine o mandati di cattura internazionali.

È il caso di Gary Peters, presidente di una compagnia australiano-canadese, giunto a Toronto con una spalla sanguinante dopo un viaggio di alcune ore che lo ha portato da una sparatoria nel deserto libico al confine con il Niger, fino in Tunisia e da lì in aereo a Francoforte e poi in patria in ospedale. Peters ribadisce che si è occupato solo della difesa dei suoi clienti e non è mai stato impegnato in combattimento, anche se l’incidente nel quale il suo gruppo è stato attaccato e ha ucciso cinque degli assalitori pare proprio un atto di guerra e chi li ha attaccati erano le forze libiche ribelli, non banditi di strada.

Dice che Saadi Gheddafi è un gentleman e che lui non avrebbe mai protetto l’autore di crimini contro l’umanità, ma nel raccontare le sue avventure implicitamente ammette di aver avuto piena coscienza del fatto che la giustizia internazionale e mezzo mondo avesse già messo ufficialmente i Gheddafi nella lista dei criminali. Una posizione scomoda la sua, la giustizia canadese tollera malamente questo genere d’attività e l’aver parteggiato per il cattivo non aiuta.

Lo avevano capito subito anche quelli che si sono invece defilati all’arrivo della tempesta. Esperti mercenari europei e africani al servizio di Gheddafi da anni, impegnati a tenere insieme un esercito modesto e poco motivato che Gheddafi non ha mai rinforzato temendo la creazione di un centro di potere incontrollabile, affidandolo invece alla direzione di mercenari stranieri e alla supervisione dei suoi figli.

Mercenari che quando hanno capito che sarebbero piovute bombe hanno tolto il disturbo, come il croato “Mario”, uno specialista d’artiglieria che protetto dall’anonimato non ha avuto problemi a descrivere lo stato pietoso dell’esercito che era stato chiamato a tenere in piedi e a spiegare che dal suo punto di vista non aveva senso restare oltre.

Storie diverse, valutazioni diverse, compensi diversi a spostare il piatto della bilancia da una parte o dall’altra. Poche centinaia di dollari al mese per i mercenari neri dell’Africa sub-sahariana, milioni di dollari in premio alle indiscusse star dei teatri africani arruolate da Gheddafi per proteggere la fuga della sua famiglia e i suoi membri impegnati nella guerra, quando il gioco si è fatto veramente duro. Differenze rilevanti anche in seguito, con i poveri africani spesso destinati alla tortura o alla deportazione e i mercenari d’élite sopravvissuti impegnati a scrivere libri e a investire i profitti milionari.

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Un gioco al quale hanno partecipato dei veri duri, come il gruppo anglo-sudafricano di mercenari che ha appena ( momentaneamente) chiuso le sue pendenze giudiziarie e visti rilasciati i suoi uomini, dopo anni di detenzione per il fallito golpe in Guinea Equatoriale. Personaggi leggendari come Deon Odendaal, al quale è toccato l’ingrato compito di rispondere alle gravi accuse verso il gruppo, che ha affiancato e potenziato quello di Peters nell’ultimo periodo della dittatura e che accompagnava il dittatore libico anche il giorno della sua morte.

Tanto quotati sono i sudafricani per questo genere di lavori, che alla fine è risultato che Gheddafi ha arruolato due distinte compagnie sudafricane, una per portare la famiglia in Algeria e una per proteggere l’andirivieni di figli e fedeli dal Niger. Un giornale sudafricano ha raccolto il racconto dei superstiti dello scontro nel quale è stato ferito Peters, la descrizione degli eventi e il racconto delle difficoltà incontrate nel portare fuori dal paese i feriti, con i libici evidentemente disinteressati a processare o detenere i mercenari bianchi.

Storie di caos e improvvisazione, perché nella guerra in Libia si sono buttati in tanti, professionisti e improvvisati volontari per la causa della libertà o di qualche religione. Tutti insieme appassionatamente, con i ribelli libici che hanno accolto ogni genere d’aiuto e fornitura bellica con entusiasmo, bombardamenti sotto la regia della NATO e scarsa coordinazione a terra, mentre il regime dopo la repressione dei primi tempi, tentava una resistenza evidentemente inutile nelle sue premesse e infine la fuga.

Storie che segnalano come la Libia di Gheddafi non disponesse di un vero esercito e fosse del tutto incapace di controllare i confini del paese, ma anche di come le armi in possesso del regime non potessero essere usate per mancanza di operatori o perché inutilizzabili con i cieli presidiati dall’alleanza atlantica pronta a colpire qualsiasi dispiegamento di sistemi d’arma.

Gheddafi sapeva che la sua Libia non aveva bisogno di un esercito, perché nessun esercito libico avrebbe mai resistito a un attacco delle potenze occidentali, le uniche che potevano organizzare un’aggressione al paese. Per questo si è limitato, al di là della retorica e di qualche avventura africana in anni ormai lontani, a fare dell’esercito una forza armata sufficiente alla repressione interna e alla protezione del potere.

Приватизаторы войны

Una scelta in fondo razionale, perché la creazione di una casta militare o la militarizzazione di un intero paese sono imprese che richiedono un certo impegno e non garantiscono una sicurezza maggiore di quella offerta da qualche battaglione di mercenari, che all’occasione non hanno alcuna difficoltà a sparare sul popolo. Forze che associano le loro fortune a quelle dell’autocrate e che non non possono aspirare a sostituirlo come invece accade con i generali, all’occorrenza lesti a rifarsi una verginità buttando in galera i loro complici di una vita.

Per questo dal punto di vista dell’autocrate moderno è molto meglio contare sulla professionalità pagata a caro prezzo di un mercenario, che sulla fedeltà e sull’adesione ideologica di concittadini che potrebbero aspirare al potere o dissentire sulle sue scelte politiche.

Una privatizzazione della guerra e degli eserciti che riporta al medioevo, l’epoca degli eserciti di massa è definitivamente tramontata e oggi gli eserciti si affittano come ai vecchi tempi. Il monopolio della violenza cessa di essere pubblico e le Compagnie Militari Private assumono la dimensione di enormi multinazionali. Davvero un gran progresso.

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