Guerra in Yemen, l’Arabia Saudita si tira indietro

Posted on 10 marzo 2016

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Negli ultimi giorni l’Arabia Saudita ha condotto colloqui non troppo segreti con gli Houti yemeniti, suscitando l’ira dei pochi che nel paese hanno spalleggiato l’aggressione. Ieri la notizia che il «presidente legittimo», Abd Rabbih Mansur Hadi si recherà negli Stati Uniti per cure mediche e vi resterà qualche mese.

hadi

Dopo un anno di bombardamenti i sauditi prendono atto che in Yemen il loro progetto è irrealizzabile. Il blocco degli approvvigionamenti e dei porti e i bombardamenti quotidiani hanno seminato morte e distruzione, ma non hanno fiaccato le forze che s’oppongono al progetto saudita, che in realtà non ha sostenitori nemmeno nel Sud del paese, dove le uniche presenze politicamente di rilievo sono quelle di separatisti e qaedisti, entrambi pronti ad approfittare dell’intervento saudita, ma anche a colpire a tradimento i Saud alla prima occasione.

Proprio l’azione saudita ha anzi lasciato spazio ai qaedisti e all’ISIS locale, provocando più di una perplessità anche nell’Occidente, che comunque continua a fornire ai sauditi le armi per proseguire nel massacro. Anche dalla Sardegna partono bombe che poi finiscono per seminare morte in Yemen. Un sostegno testimoniato anche dall’incredibile indifferenza alla guerra in Yemen esibita dai grandi media nazionali e internazionali, che passano sotto silenzio la guerra in Yemen allineandosi così alle cancellerie che si comportano come le tre scimmiette.

Hadi in realtà non governava più da tempo e il suo mandato per gestire la transizione dalla dittatura di Saleh alla democrazia è stato sprecato nell’inazione. Poi il presidente ha presentato una nuova costituzione federale, made in Arabia Saudita, pretendendone l’approvazione e gli Houthi, ma non solo loro, l’hanno sfiduciato definitivamente. Hadi si è dimesso, poi si è detto di nuovo in carica e ha annunciato la costituzione di un nuovo governo ad Aden, la capitale del Sud. Costretto dai suoi avversari a fuggire anche da lì, Hadi si è poi prestato a fare la foglia di fico dell’intervento saudita, «su richiesta del legittimo presidente». Tanto legittimo che dopo aver autorizzato i bombardamenti del suo popolo, ora non può rientrare nel paese senza timore d’essere ucciso dal primo che passa. In Yemen le vendette e le faide hanno memoria lunghissima. L’aggressione saudita ha anche spino all’alleanza Houthi e uomini dell’ex regime di Saleh, che proprio gli Houthi avevano contribuito a far cadere nel corso della primavera yemenita.

I sauditi, che avevano annunciato una coalizione internazionale a sostegno dell’operazione, nel frattempo sono rimasti sempre più soli, poche settimane fa anche i soldati degli Emirati hanno fatti i bagagli alla chetichella e sono tornati a casa. All’evaporare del sostegno politico si sono aggiunte la crisi economica provocata dal crollo del prezzo del petrolio e il volgere al peggio della situazione sul terreno, perché la vittoriosa marcia sulla capitale si è boccata subito e in più i sauditi hanno dovuto incassare ripetute incursioni nel loro territorio, dimostrandosi incapaci della sua difesa nonostante la presunta superiorità delle dotazioni militari e della capacità di spesa.

Un’umiliazione dietro l’altra e ora a Riad sembrano stanchi di spendere miliardi per ridurre inutilmente in briciole case e infrastrutture dello Yemen, dove grandi obiettivi militari non ce ne sono. Il paese, già prima della guerra uno dei più poveri al mondo, è oggi nel pieno di una crisi umanitaria che non potrà che giovarsi di qualsiasi accordo metta fine ai bombardamenti, ma è ancora troppo presto per alzare la bandiera dell’ottimismo o per credere che i Saud si siano finalmente convinti a lasciare che gli yemeniti decidano tra loro il futuro assetto del paese e le regole di quella che è sempre stata una difficile convivenza tra Nord e Sud o tra questa e quella tribù.

Aggiornamento: Il presidente Hadi ha smentito la notizia secondo la quale si sarebbe recato negli Stati Uniti, lasciando i poteri al suo vice. Non che faccia molta differenza, dall’inizio della crisi si trova all’estero, ospite dei sauditi.