
Ashraf Ghani è il primo presidente dell’Afghanistan moderno a prendere il potere in seguito a elezioni pacifiche, anche se non esattamente «free and fair». Dovrà coabitare con un governo guidato dal rivale Abdulla Abdullah.
Un passato alla Banca Mondiale, considerato un fine intellettuale, Ashraf Ghani (in copertina) oggi presta giuramento e diventa così il primo presidente afgano a prendere il potere pacificamente attraverso il voto. Sulla qualità del voto c’è parecchio da dire, visto che Ghani ha potuto contare su evidenti brogli in suo favore e alla fine ha avuto via libera solo dopo aver raggiunto un accordo con Abdullah Abdullah, che anche al turno elettorale precedente era stato visibilmente defraudato dalle commissioni elettorali, controllate dall’uscente presidente Karzai, che è un sostenitore di Ghani.
Abdullah si era affermato nettamente al primo turno, ma al secondo turno il risultato è stato ribaltato da un clamoroso quanto sospetto aumento del numero dei votanti, ben al di là di quelli garantiti dall’appoggio di personaggi come Dostum, un signore della guerra che con i suoi uomini ha pesato anche sul processo di riconteggio. Era giugno, e da allora l’estate si è consumata in tentativi di riconteggio che non hanno portato a una soluzione condivisa e così, con gli Stati Uniti infastiditi a fungere da mediatore, si è arrivati alla soluzione di un accordo di power sharing, con Ghani che va alla presidenza e Abdullah alla guida dell’esecutivo. Un accordo difficile, tanto che le due parti hanno litigato persino sullo spazio a loro disposizione nel palazzo presidenziale. Anche per questo al giuramento di Ghani erano presenti solo delegazioni di basso livello, anche quelle inviate dai paesi che più hanno investito nel paese negli ultimi anni, per gli Stati Uniti ad esempio arriveranno solo due consiglieri di Obama a far compagnia all’ambasciatore James B. Cunningham e al comandante militare, il generale Campbell, solo il Pakistan ha inviato il presidente Mamnoon Hussain.
Con la nomina di Abdullah a primo ministro ora il passo successivo, per niente facile, diventa la coposizione della lista dei ministri, che dovrà essere concordata tra i due e le rispettive fazioni. Dal discorso di Ghani, che ha sparso ottimismo, si è saputo che anche sua moglie Rula, libanese e attiva nel campo della difesa dei diritti umani, prenderà parte alla vita pubblica, una novità per il paese e non solo perché la moglie di Karzai è rimasta praticamente invisibile negli anni che il marito ha trasorso al potere.
Il giuramento di Ghani ha rotto l’impasse che durava da giugno e ora consentirà finalmente la sigla dell’accordo con gli Stati Uniti, attesa da tempo e gradita sia a lui che ad Abdullah. L’accordo era bloccato dal rifiuto di Karzai, da tempo in rotta con Washington, e permetterà l’afflusso dei contributi finanziari americani, senza i quali il paese finirebbe velocemente in bancarotta. Un’incognita invece aleggia sul futuro di Hamid Karzai, che potrebbe scegliere di espatriare e che probabilmente sposterà la sua residenza negli Emirati, visto che in patria rischia grosso e che non potrà più contare sulla protezione garantita al presidente. C’è poi un altro tipo di rischio per lui, perché il clan di Karzai in questi anni si è arricchito in maniera oscena e potrebbe divenire bersaglio d’inchieste giudiziarie, sia in patria che negli Stati Uniti, dove sono diversi i procedimenti accesi per le gigantesche malversazioni che hanno fatto evaporare miliardi di dollari dei contribuenti americani non appena arrivavano a Kabul.
Pubblicato in Giornalettismo
Posted on 30 settembre 2014
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