La Siria dei paradossi e degli apprendisti stregoni

Posted on 27 settembre 2014

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Quando sono scoppiati i primi disordini in Siria si parlava di primavera araba e più d’uno ha pensato che il regime di Assad potesse cadere come quello del delirante Gheddafi, senza però considerare che godeva di ben altro appoggio tra i siriani e che non sarebbe mai stato possibile ottenere il consenso internazionale per i bombardamenti in Siria, che in Libia furono decisivi per stroncare sul nascere le velleità dei militari fedeli ai Gheddafi e che in Siria sono stati esclusi dal veto di Russia e Cina.

Applaudita e incoraggiata da Occidente, rimase così una protesta di piazza trasformata in resistenza armata ed estemporanea al regime che andava incontro a un probabile massacro e allora si decise di armarla alla meno peggio, i paesi occidentali fornirono assistenza, denaro e «equipaggiamenti non letali» alle velleità belliche dell’opposizione, mentre i tiranni del Golfo aprirono i cordoni della borsa per pagare le armi, comunque leggere e comunque insufficienti ad affrontare quelle di un esercito discretamente dotato e inquadrato. Una situazione che ha portato a uno stallo e ad allontanare sine die la data della liberazione della Siria dal regime.

Poi c’è stato lo scandalo delle armi chimiche, vero o no che fosse il casus belli, che ha impegnato severamente Assad e che comunque il regime ha risolto in maniera brillante, liberandosi delle armi chimiche mentre Russia e Cina continuavano a impedire in Consiglio di Sicurezza di dare il via libera alle bombe. La sua conclusione ha dimostrato che anche nel caso di Assad c’erano molte cancellerie occidentali che non volevano saperne di una guerra contro il suo regime e di bombardamenti in Siria, anche di più di quelle contrarie ai bombardamenti contro Gheddafi.

L’impegno degli Stati del Golfo ha portato in Siria numerosi estremisti insieme ad armi e denaro a fiumi, attirando ogni sorta di fanatico e avventuriero, mentre la direzione strategica della lotta ad Assad è stata lasciata nelle mani dei sauditi, per risolvere l’impasse senza sporcarsi le mani. La strategia saudita è sempre quella e ha finito per favorire le formazioni più estremiste, a cominciare da al Nusra, il locale spin off qaedista. Una strategia che ha rafforzato le formazioni più determinate nell’imporsi anche sul fronte partigiano, che poi ha portato all’emersione dell’ISIS, prima rimpolpata dai qaedisti iracheni in trasferta e poi di nuovo debordante in Iraq, dove il governo e l’esercito di al Maliki offrivano anche meno resistenza di quelli di Assad.

La presa di Mosul ha fatto suonare la fine della ricreazione e il comando sul fronte occidentale è tornato nelle mani di Washington, mentre scattava il tutti-contro-l’ISIS e i suoi progetti di califfato talibano e siamo arrivati a oggi, che non ci sono più buoni e cattivi e che si fatica non solo a vedere una fine al conflitto siriano, ma persino a tenere le fila di quello che accade sul campo, perché oltre lo schermo della propaganda sul teatro c’è un numero enorme di attori che non sono schierati su fronti netti e che  si sono dimostrati capaci di cambiare opinione e alleanze nel giro di qualche mese, se non anche più in fretta.

A godere più di tutti è stato sicuramente Assad, che ha sempre gridato alla sovversione per mano dei «terroristi» e che ora può permettersi il lusso di acconsentire ai bombardamenti americani dei suoi nemici in Siria come se niente fosse. Mentre dai ministeri degli esteri russo e iraniano si parlava di sovranità siriana violata dagli americani, da Damasco dicono di no perché gli americani avevano avvertito il regime siriano che avrebbero bombardato. E gli americani già che c’erano ne hanno approfittato, colpendo gli uomini dell’ISIS, ma anche quelli di Jabat al Nusra, occasionalmente rinominati in «Khorasan» e accusati di essere intenti a complottare attentati ai voli con l’esplosivo nei tubetti di dentifricio, tanto vale tutto. E così i «terroristi» di ieri diventano gli eroi curdi di oggi, il regime di Assad una controparte necessaria e i «freedom fighter» sotto la bandiera di Allah riprendono le sembianze del cancro qedista, mentre in Siria e in Iraq si accumulano macerie e profughi, per i quali l’assistenza è sempre più lenta degli interventi militari.

L’opposizione siriana più genuina è ovviamente sconcertata, combatte in teoria sostenuta dall’Occidente, che però fa accordi con Assad e ora bombarda i suoi nemici. Non solo l’Isis, visto che il Fronte al Nusra è militarmente efficace e si è schierato con il fronte unitario dell’opposizione siriana e ha dichiarato guerra proprio al califfato. Al Nusra è un altro potenziale Isis ed è comunque un franchising qaedista e a lasciarlo indenne si rischia di dover ripartire dal via anche una volta che si sia riusciti a sbandare quelli dell’ISIS. Le preoccupazioni di Washington sono comprensibili, anche se questo non riduce le ansie dell’opposizione ad Assad che vede l’arcinemico fare accordi contro i loro compagni d’arme e alleati contro l’ISIS, anche se non dovrebbero stupirsi più di tanto, in fondo con gli americani Assad c’è andato d’accordo per anni quando si trattava di torturare qaedisti per conto della CIA.

E non basta, perché a bombardare i cattivi Obama ha voluto anche l’aviazione dei paesi arabi che hanno finanziato questo disastro, e che ora ovviamente sono tutti contro il «terrorismo» e cooptati nella solita coalizione dei volenterosi: Un’alleanza in ordine sparso che sta aprendo i cieli siriani a una campagna aerea à la carte, con aerei da guerra e missili da crociera che vanno e vengono dai paesi vicini bombardando i cattivi senza che ci si capisca molto, se non che per ora Assad è contento e che quelli dell’ISIS stanno chiaramente accusando il colpo.

Dopo tre anni di massacri la guerra civile in Siria evolve quindi in maniera del tutto originale, con i paesi occidentali che intervengono a bombardare gli «intrusi» variamente qaedisti e il regime che continua le sue operazioni militari cercando di trarre vantaggio delle divisioni tra i suoi nemici e dell’insperata collaborazione dei paesi che solo tre anni fa lo volevano deposto a furor di popolo o morto. Se anche il fronte reazionario che si è riunito attorno ai paesi del Golfo e che gli sembrava ferocemente ostile ora lavora per lui, è segno che i suoi nemici hanno finito per incartarsi da soli, Assad non si poteva sperare di meglio.

Uno scenario del tutto diverso quello di oggi, nel quale gli iraniani sono più vicini e hanno l’immagine bonaria di Rouhani e i sauditi sono finiti in castigo, mentre la azioni del regime di Assad sono in netto rialzo, anche se inevitabilmente l’afflusso di armi «per combattere l’ISIS» finirà per nuocere anche alle sue truppe e c’è anche il rischio che una volta presoci gusto qualcuno decida di continuare a usare le bombe per «proteggere» questi o quelli anche dal suo esercito. Una situazione caotica nella quale si capisce solo che tutti gli attori navigano a vista e che i nemici di oggi possono diventare facilmente gli amici di domani, un caos che ha prodotto una catastrofe umanitaria che si estende dalla Siria all’Iraq, dove in realtà la violenza non ha mai dato tregua e dove, anche lì, è stata principalmente alimentata dal fanatismo simil-qaedista e dai dollari in arrivo del Golfo. Cifre enormi puntate sul tavolo della guerra perché un Iraq stabile e con un governo a maggioranza sciita è sgraditissimo. Difficile per tutti fare previsioni anche sul medio termine su scenari del genere, si naviga a vista sperando di non farsi troppo male.

 

Pubblicato in Giornalettismo