Google ha finalmente preso atto dell’insostenibilità pratica ed etica, della pretesa che gli utenti si registrino ai suoi servizi di comunicazione sociale con il nome e cognome che hanno all’anagrafe.
Google era entrata in questa disputa tre anni fa, quando adottò la politica del veronome per G+, il social network che era lanciato all’inseguimento di Facebook, tendeva evidentemente a procurarsi clienti dotati di un volto poi spendibile come testimonial per le pubblicità social. Come il concorrente da battere. Un utente iscritto con il veronome in teoria vale economicamente di più di un Pinco Pallino e per di più c’è chi è convinto che il veronome faccia da argine di resistenza ai comportamenti peggiori.
Teorie sbagliate e prive di grandi riscontri, in particolare la seconda, in particolare considerando che è sempre stato sufficiente dotarsi di nomi e cognomi «plausibili» per commettere ogni genere d’indecenza anche su Facebook, che in effetti ha sempre e solo mantenuto un divieto più formale che sostanziale. Divieto che comunque non si è rilevato un gran deterrente, ci sono fin troppe persone che non esitano ad esprimere pensieri criminali o a incitare all’odio senza trovarci nulla di male e senza preoccuparsi che quei pensieri siano riconducibili direttamente alla propria persona.
Ora Google invece ha detto basta, si è arresa e ha cambiato politica. Lo ha annunciato con il 15 scorso con un messaggio nel quale si scusa per aver creato fastidi e disagi, « some unnecessarily difficult experiences», agli utenti che per qualsiasi motivo non gradivano la politica del veronome, che riconosce potrebbe aver escluso e discriminato milioni di persone.
Sono sempre stato un sostenitore convinto della -necessità- di usare pseudonimi da parte degli utenti della rete che accedono a servizi e ambiti diversissimi. Non ha senso portare ed esibire il fardello dell’identità anagrafica in ogni luogo virtuale e anzi è una pratica che espone a rischi rilevanti anche chi non fa nulla per cercarseli.
E non ha senso proibire l’uso degli pseudonimi e invocare questa decisione per scoraggiare la commissione d’attività illecite, visto che invece è legittimo ed è protetto dalle leggi in tutti i paesi democratici, anche in Italia, proprio come baluardo della libertà d’espressione. Senso che s’azzera del tutto se a esercitare questa pretesa è il fornitore di un servizio che nei suoi archivi mantiene la nostra posta, le nostre telecomunicazioni, il nostro vero indirizzo, numeri di telefono e che, se solo possediamo uno smartphone, traccia e memorizza i nostri percorsi quotidiani metro dopo metro. Spero solo che ora la decisione di Google apra finalmente le menti di legislatori e commentatori che continuano a berciare malamente contro il presunto anonimato in rete.
Pubblicato in Giornalettismo
Posted on 19 luglio 2014
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