Yemen, 10 milioni di morti di fame e non sentirli

Posted on 22 settembre 2013

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10 milioni di yemeniti rischiano di morire di fame, ma il paese non riesce ad emergere all’attenzione delle opinioni pubbliche, se non come albergo di terroristi.
I numeri dicono che gli aiuti militari statunitensi al governo dello Yemen non sono secondi a quelli di altri paesi e che gli americani bombardano regolarmente il suo territorio con i droni a caccia di qaedisti, da anni. Nel mezzo è caduta la lunghissima dittatura di Saleh, a seguito di una “primavera araba” di cui si è saputo pochissimo, l’esito della quale è stato determinato in gran parte dall’invadentissimo vicino saudita e dagli onnipresenti strateghi di Washington. Nel caos della primavera e del successivo cambio di regime, a dire il vero ancora parziale, hanno guadagnato terreno i qaedisti, che per qualche tempo vi avevano trovato rifugio sicuro in fuga dalla Somalia e da altri teatri nei quali la pressione americana si era fatta troppo intensa. Si tratta tuttavia di elementi prevalentemente locali, tanto che quando si è aperta l’opportunità di combattere in Siria, i talebani yemeniti sono rimasti a casa.

Prima di questi svilupppi relativamente recenti la situazione del paese era già pessima, la dittatura di Ali Abdullah Saleh dal 1990 al 2012 non ha registrato sostanziali progressi, dopo che la caduta del Muro di Berlino aveva portato all’unificazione di Yemen del Nord e del Sud, a loro volta tra i paesi più poveri al mondo. Ora che il governo di transizione è nelle mani del suo vice e le scarse energie e risorse sono indirizzate alla lotta ai qaedisti la situazione è ancora ben lontana dal dare segni di miglioramento.

Secondo il Programma Alimentare Mondiale (PAM/WFP World Food Programme), Oxfam, Amnesty International, Human Rights Watch e tutte le principali organizzazioni che si occupano di lotta alla fame e alla malnutrizioneoggi lo Yemen è nel bel mezzo di una crisi umanitaria con circa 10 milioni di persone, la metà della popolazione, alla fame o a rischio di cadere nella malnutrizione cronica, che per i bambini è tra le più alte al mondo. Cifre che in altri paesi si sono tradotte in esiti drammatici, ad esempio in un contesto se possibile più severo, ma su una popolazione di affamati più ridotta, in Somalia si sono contati 100.000 bambini morti per fame in un solo anno, più gli adulti. Cifre che fanno impallidire il bilancio di qualsiasi guerra recente, ma non fanno notizia, nemmeno la strage in Somalia ha fatto notizia. In Yemen secondo le stime dell’ONU i bimbi morti per fame al termine della crisi potrebbero essere 250.000. Eppure sono tragedie che non si consumano nell’ignoranza di chi potrebbe intervenire, quelle stesse organizzazioni che ora chiedono aiuti per lo Yemen lo fecero per la Somalia, inutilmente. La “notizia” non fece scalpore, le denunce non furono riecheggiate quasi da nessuno, nemmeno il bilancio terribile tirato a distanza di più di un anno dall’ONU riuscì a strappare le prime pagine o un titolo al telegiornale. Anche la grande fame nello Yemen sembra destinata a seguire il destino di quella che ha martoriato di recente la Somalia.

Gli aiuti americani e sauditi non sono ovviamente concentrati sull’assistenza alla popolazione affamata e anche il governo sembra preoccuparsi più delle contingenze imposte dal maintream che dalle croniche mancanze del paese. Di recente il governo è stato ad esempio molto reattivo ad esprimersi contro il costume del matrimonio delle minorenni perché era stato portato all’attenzione internazionale dalla falsa notizia della morte di una bambina di otto anni dopo una prima notte di nozze troppo violenta, ma di sforzi apprezzabili per eradicare l’analfabetismo (oltre il 60% degli yemeniti non sa leggere e scrivere) o per fornire assistenza sanitaria e acqua pulita ai cittadini non se ne sono visti. Appena il 25% della popolazione rurale ha accesso ai servizi sanitari e 13 milioni di yemeniti non hanno accesso regolare all’acqua potabile, anche se la legge yemenita prevede il diritto universale all’istruzione sanitaria e all’istruzione. C’è da capirli i governanti yemeniti, visto che il loro potere si fonda sull’assistenza dei cari alleati le loro esigenze finiscono per sopravanzare quelle dei cittadini.

YEMEN-UNREST-SAUDI-QAEDA-TRIAL

Nel paese poi ci sono profughi seminati dai conflitti che si sono succeduti negli ultimi anni, la repressione degli Houti nel Nord ha provocato oltre ai morti centinaia di migliaia di profughi, e a decine di migliaia se ne sono contati ogni volta che i qaedisti hanno provato a dichiarare il loro controllo su qualche città o ancora in occasione delle rivolte separatiste che ancora periodicamente animano il Sud. Profughi ai quali si aggiungono quanti fuggiti dalla Somalia o in transito perchè in fuga da Etiopia ed Eritrea, altri paesi dove la vita è un incubo per i pochi che non sono ammessi nelle grazie dell’élite. I 140.000 abitanti della città meridionale di Abyan ad esempio sono tornati a casa, ma sono rimasti ostaggio di una situazione non ancora del tutto pacificata e di un territorio disseminato di mine, impediti letteralmente a rifornirsi di cibo, come se fossero sotto assedio. Non meglio va nei campi profughi dove scarseggiano le risorse ed è difficile anche mantenere l’ordine impedendo fenomeni di sfruttamento dei più deboli.

Quello che più impressiona nei rapporti delle organizzazioni non governative come in quello dell’ONU o del PAM, è l’evidenza per la quale per risolvere la crisi e mobilitare le risorse sufficienti a sottrarre milioni di persone alla fame, e a salvarne buona parte dalla morte o da sofferenze indicibili, bambini compresi, basterebbero cifre risibili in confronto a quelle “investite” per armare questo o quello con il pretesto di sollevare altri dalle loro pene. Poche decine di milioni di dollari bastavano a salvare i somali piagati dalla carestia, cifre simili permetterebbero di garantire la sicurezza alimentare agli yemeniti o ad altri popoli che a turno si ritrovano morsi dalla fame. Ma non si trovano mai, mentre i loro governi fanno esercizio d’indifferenza o di negazionismo senza sollevare l’indignazione dei bombardieri umanitari o dei fan della Responsibility to Protect, il principio che dovrebbe impegnare la comunità internazionale a intervenire quando i popoli sono portati allo sterminio da governi irresponsabilie crudeli.

Ma se muoiono per fame non vale, anche perché a quello dovrebbero bastare la solidarietà e la carità internazionale, che invece latitano. Da anni non si vedono più iniziative e raccolte di fondi massicce per savare chi muore di fame, l’ultima di cui si abbia memoria nel nostro paese fu la fallimentare colletta per il Darfur, un disastro persino tra i cantanti del Festival di Sanremo made in Bonolis, che se non altro ha sgombrato il campo da un’evidente ipocrisia, che anche i governi occidentali dal 2001 in poi hanno provveduto ad abbattere.

Da quello americano che ha messo USAID e tutte le organizzazioni umanitarie sotto l’ombrello del Dipartimento di Stato trasformandole anche formalmente in “stumenti” della politica estera americana, fino ai governi italiani che hanno sostanzialmente azzerato gli aiuti del nostro paese a quelli in via di sviluppo, il concetto di solidarietà internazionale tra paesi si è andato estinguendo, rimanendo riservato a poche occasioni esemplari o rianimato all’occorrenza quando accanto alle guerre alimentate da questo o quello stratega s’accendono grandi crisi umanitarie, in genere destinate ad essere strumentalizzate piuttosto che affrontate dalle parti in causa. Difficilmente assisteremo quindi a una mobilitazione per i poveri yemeniti, non da parte dei ricchi e invadenti vicini del Golfo, non da parte dei ricchi americani che cercano di “salvare” il paese dai cattivi talebani e ancora meno da parte del resto del mondo, che di quello che succede in Yemen non ne ha saputo niente e non ne saprà niente.

Pubblicato in Giornalettismo