
Il dittatore del Kuwait africano ha superato i 70 anni, ma coltiva ancora progetti a lungo termine e l’idea di mantenere il potere a tempo indeterminato.
Teodoro Obiang Nguema Mbasogo ha superato di slancio le ultime elezioni raccogliendo come al solito un consenso più che bulgaro e ai primi di settembre ha fatto giurare un esecutivo che sfoggia ben 62 tra ministri e viceministri. A parte il delfino e figlio prediletto Teodorin con la carica di vicepresidente, c’è il fratello di Teodoro a capo del ministero della Difesa, suo nipote ministro di stato incaricato dell’integrazione regionale e via decliando parenti, amanti e protetti. Il numero secondo Obiang è funzionale all’attuazione della riforma costituzionale varata nel 2011 e pretesa principalmente da Washington, che da tempo è molto imbarazzata dalle qualità di uno dei principali partner petroliferi delle aziende americane in Africa.
Per sé Obiang ha tenuto la carica di capo di stato e di governo, anche se è solo presidente e la carica di primo ministro è stata affidata a una persona più qualificata di quelle reperibili tra i parenti. Teodoro è al potere dal 1978, anno nel quale rovesciò il dittatore che aveva retto il paese dalla sua indipendenza dalla Spagna. Suo zio, di cui era il feroce capo della polizia, ferocia che ha mantenuto negli anni, come dimostrano i ripetuti tentativi di assassinare il principale esponente dell’opposizione in esilio in Europa o la sua minaccia di catturarlo, ucciderlo e di mangiarsi i suoi genitali debitamente cucinati. Nel paese l’opposizione non c’è, non c’è informazione libera e il primo che fiata finisce malissimo, anche gli stranieri sono malvisti, la Guinea Equatoriale non è tra gli itinerari turistici.
Teodoro è fatto così e il suo figliolo omonimo e prediletto, per gli amici Teodorin è l’unica debolezza che gli si conosca, tanto che i maggiori problemi per l’immagine del paese gli sono venuti proprio dagli eccessi del pargolo. A Teodorin hanno sequestrato ville a Malibù e proprietà in Francia, perché fatti due conti spannometrici erano patrimoni che non poteva aver acquisito legalmente con i suoi stipendi da ministro e nemmeno con quelli di Papà. Teodorin viaggia alla grande, con spese nell’ordine delle decine di milioni di dollari alla volta, tanto che dopo i clamorosi sequestri ha ordinato uno yacht da quasi 300 milioni di euro, lo vuole come quello di Abramovich, modesto. Solo nella sua magione parigina sono state sequestrate una rarissima Maserati MC12 (ce ne solo 50 nel mondo) un’Aston Martin V8 V600 Le Mans (40 nel mondo) una Rolls Royce Phantom coupé, una Porsche Carrera GT, una Ferrari Enzo 599 GTO, una Bugatti Veyron, una Veyron Grand Sport e un’Aston Martin One-77, pezzi dal valore enorme e sicuramente non comprati a prezzo di saldo.
Le leggi che hanno inguaiato Teodorin sono state volute per rendere la vita difficile a quanti, dittatori o loro famigli, cercano di riciclare i proventi della corruzione all’estero, pratica assai comune per molti leader politici che cercano riparo per il loro bottino preferibilmente nei paesi più stabili del primo mondo, prendendo casa agli indirizzi più esclusivi. Solo quelli più compromessi ripiegano sugli Emirati, vero e proprio paradiso per latitanti d’oro ed esiliati. Leggi che però, è bene ricordarlo, come altre del tipo appaiono applicabili solo ai leader africani, a molestare gli sceicchi del golfo non ci pensa nessuno. Anche la ricchezza degli Obiang deriva dal petrolio, dall’incredibile e recente boom petrolifero che ha investito il paese dal 2000 in poi quando dalle acque del Golfo di Guinea la Exxon ha cominciato a tirar fuori l’oro nero. Obiang ai petrolieri americani ha fatto ponti d’oro, prezzi bassi e massima libertà d’azione, nessuno si è lamentato dell’invadenza dello stato guineano.
Mentre la ricchezza della rendita petrolifera spingeva il reddito medio e il pil del paese ai vertici del continente, è successo però che la distribuzione della ricchezza disposta da Obiang si è fermata soprattutto nelle tasche della sua famiglia. La situazione si è fatta sempre più imbarazzante, perché i guineani sono appena 700.000 e la maggior parte di loro vive nella miseria più nera ancora oggi anche se il reddito medio s’attesta su 23.000 dollari e ne farebbe i paperoni d’Africa, ma anche perché Obiang non ci sente proprio dall’orecchio al quale gli consigliano politiche più generose verso i suoi amministrati/sequestrati.
Obiang ha preferito investire pesantemente in PR e in prestigiosi avvocati internazionali per lenire le pene di Teodorin e per rendergli praticabile una discreta parte di mondo dove non correre il rischio di essere arrestato ed estradato al volo in Francia o negli Stati Uniti. Quando invece l’ONU gli ha rinfacciato la presenza di baraccapoli a ridosso della capitale Malabo, ha fatto spianare la baraccopoli con le ruspe. Decisamente intrattabile, ma nessuna delle potenze esportatrici di democrazia ha mai pensato di mandare una nave da guerra a sloggiarlo, va bene lì dov’è, fa buoni prezzi a chi non lo disturba con le storie di violazioni dei diritti umani e la corruzione. In fondo è il decano dei leader africani, quello al potere da più tempo, e nessuno si è lamentato quando ha speso 800 milioni di euro per ospitare il vertice dell’Unione Africana, anche se di là dalla strada rimaneva la miseria più nera.
Non che regni indisturbato, qualche hanno fa ha sventato un golpe ordito dal figlio di Margareth Tatcher insieme a un centinaio di mercenari, tanti pensavano ne bastassero, sventato grazie all’iniziativa di Mugabe, il dittatore dello Zimbabwe all’epoca in rotta con Londra, apparente mandante dell’operazione. Obiang affida la sua difesa a una guardia presidenziale composta principalmente di mercenari marocchini, ma l’esercito non dev’essere gran cosa se un paio d’anni fa nella capitale Malabo è sbarcato un commando di pirati (?) di quelli che infestano il golfo di Guinea e ha attaccato il palazzo presidenziale prima di essere respinto.
Da allora Teodoro deve aver considerato che Malabo, seconda città del paese dopo Bata, che è sul continente, non sia molto sicura e, come altri dittatori prima di lui, ha deciso di costruire una nuova capitale a maggior gloria del suo nome. C’è chi dice che la scelta di Mengomeyen come sede della futura Oyala, questo il nome scelto per la nuova capitale, rispecchia la decisione di altri paesi africani di spostare la capitale all’interno, come rifiuto del progetto coloniale per il quale la capitale era solo una stazione di transito per l’esportazione delle materie prime depredate sul continente, ma non è difficile rintracciare anche il desiderio di renderla meno attaccabile nella decisione di costruirla dal nulla in mezzo alla foresta, così com’è stato per l’analogo progetto appena portato a termine in Myanmar e fortemente voluto dal regime militare al potere fino a qualche anno fa. La prossimità al confine con il regime fratello del Gabon conferma gli ottimi rapporti con il vicino, anche se resta da capire l’impatto dell’operazione sul futuro del paese. Mengomeyen era un pugno di baracche sperso nella foresta e in quella posizione la nuova capitale non sposterà comunque il baricentro della vita del paese dalle rive del Golfo di Guinea, né porterà a una corsa all’Ovest o al popolamento delle aree ricoperte dalla foresta, nemmeno una volta che sarà disboscata e venduta.
Oyala è pianificata per accogliere 200.000 abitanti, sarà una cittadina ideale, i vincitori del concorso per la sua progettazione sono gli architetti e urbanisti di uno studio portoghese, che hanno battuto concorrenti da tutto il mondo e i lavori sono già cominciati, i fondi non mancano e le procedure in casa Obiang sono velocissime quando Teodoro vuole. Le due principali cittadine oggi hanno circa 170.000 abitanti, che prevedibilmente saranno selezionati dal regime tra i più fedeli- Malabo rischierà d’andare in rovina, già oggi gli equipaggi delle piattaforme petrolifere non toccano terra sull’isola, Obiang non vuole curiosi o contatti importuni con i suoi sudditi. A Bata resterà l’hub per l’esportazione del legname, del quale proprio le concessioni governative hanno fatto la fortuna di Teodorin, un tempo al ministero dell’Agricoltura e delle Foreste. L’idea della costruzione di Oyala è perfettamente aderente al personaggio, che veste su misura il ruolo del dittatore paranoico e abbarbicato al potere, una figura mostruosa che infligge grandi pene ai compatrioti che tiene in ostaggio con la forza delle armi, ma che manca di suscitare l’indignazione internazionale e quindi si permette di tutto o quasi.
fausto
22 settembre 2013
E d’altronde immagino che i residenti si domandino a cosa possa servire cacciarlo, se poi al suo posto arriverà il nulla spinto costituito da bande armate e rapinatori aziendali. A fare la forza di simili personaggi è probabilmente la miseria etica disponibile in occidente (in specie in tema di politica estera): in presenza di alternative credibili e vantaggiose, non credo che lo lascerebbero in sella per un solo minuto in più.
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Silviana
28 settembre 2013
sono una mamma disperata, ho 78 anni, e chiedo aiuto per mio figlio, Roberto Berardi, che ha moglie figli .
È un imprenditore che da oltre 5 mesi è detenuto nel carcere di Bata in Guinea Equatoriale. Il suo unico torto è di essere azionista e direttore generale di un’impresa di costruzione e di avere come socio il Vice Presidente Teodoro Nguema Obiang Mangue, nonchè figlio dell’attuale presidente Teodoro Obiang Nguema Mbasogo .L’anno passato ha scoperto delle anomalie contabili della società , e nella notte, è stato prelevato dal suo letto dalla polizia e tradotto in carcere, privato del passaporto e del cellulare, dopo di che gli è stata sporta denuncia di appropriazione indebita, di cui è totalmente innocente. Viene tenuto sequestrato senza prove. Ora la sua situazione è di serio pericolo di morte. Sta male, ha avuto la malaria, gli danno da mangiare poco o niente, lo maltrattano.
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mazzetta
28 settembre 2013
mi contatti via mazzettatm@gmail.com
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Franco Lelli
27 novembre 2013
La voracità e la spietatezza di Teodorin è assoluta. Lo conosco personalmente per averci convissuto dal 1989 al 2000. In qualità di imprenditore nel settore forestale ho dovuto subire ricatti psicologici di ogni tipo, come tutti gli investitori del settore da quando suo padre lo nominò Ministro delle Foreste. Ho il vanto di non avergli ceduto sul piano economico, nel senso che non mi sono mai piegato a pagargli tangenti. Forse perché, operando io su Bioco, non rappresentavo un concorrente da distruggere subito. Ma ho capito l’aria. Mi sono reso conto che il ‘trattamento di favore’ non sarebbe potuto durare a lungo, nonostante dividessimo interessi comuni e cenavamo spesso al circolo nautico di Malabo. E’ un individuo senza scrupoli. Sarebbe disposto anche a passare sul corpo del padre pur di mettere in atto i suoi progetti. Vedo pessima la situazione che riguarda Roberto Berardi. Teodorin è avvelenato contro tutto e tutti. Non digerisce il mandato internazionale che lo ha colpito. Si sente limitato e derubato dei suoi sfizi, lui ladrone per antonomasia. Donna Constancia, sua madre, è l’unico punto debole del delinquente. E’ la sola chiave che può aprire le porte della prigione al nostro connazionale. Il rapporto che ha con la genitrice è degno di attenti studi di psichiatria. Dico questo con cognizione di causa, avendo assistito a scene famililari chiarificatrici della dipendenza filiale. La confidenza che ero riuscito a instaurare con la Prima Dama, nata dall’aver frequentato per quasi un anno la sua casa di Malabo, dovendo lavorare alla costruzione degli arredi ogni giorno, è stata utile a crearmi uno scudo protettivo che sapevo fin da allora impenetrabile anche per una mente diabolica come quella di Teodorin. Altro ostacolo del Vice-Presidente segundo, come ufficialmente lo ha nominato suo padre, è rappresentato dallo zio Armengol, spietato malfattore e finissimo interprete delle più sofisticati strumenti di tortura (il preferito è appendere ai genitali del prigioniero un peso di un paio di chili con un filo di acciaio) e attendere gli effetti. Non teme il padre, non teme il popolo. Deve dimostrare agli occidentali che può fregarsene di chiunque, siano essi americani, francesi o cinesi. Una persona che può avvicinare con buone possibilità di successo è la moglie dell’Ambasciatore di Francia a Malabo, della quale non ricordo il nome, ma che viveva nella capitale guineana nel 1995.
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