Paolo Bernini, il genio pentastellato che in parlamento accusa gli USA per l’undici settembre

Posted on 11 settembre 2013

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Le bufale sull’11 settembre 2001 sono sbarcate al Parlamento italiano così: «La versione ufficiale di quell’evento è stata smentita da tutti i punti di vista. È palesemente falsa e ormai il mondo se n’è accorto». Lo ha detto Paolo Bernini del MoVimento 5 Stelle alla Camera.

Si può ormai considerare Paolo Bernini una certezza, uno sul quale fare affidamento per un intermezzo di genuino e disinteressto buonumore a interrompere il tedio delle routine parlamentari . L’uomo esibisce una fede marmorea nella letterattura cosiddetta “complottista” e non ne fa mistero, già in passato infatti aveva suscitato l’ilarità dicendo come se niente fosse che negli Stati Uniti il governo impianta dei chip elettronici nei corpi dei cittadini americani, che permettono all’amministrazione di assumerne il controllo mentale.

Oggi alla Camera si è esercitato nell’esibizione delle sue convinzioni in merito agli attentati dell’undici settembre 2001, affermando che furono opera dello stesso governo americano. Bernini ha affermato in parlamento che «La versione ufficiale di quell’evento è stata smentita da tutti i punti di vista. È palesemente falsa e ormai il mondo se n’è accorto» e per sostenere la sua ipotesi ha srotolato il tipico processo deduttivo, fondato sul nulla, comune a molti complottisti.

L’intervento:


Bernini, per dimostrare che si è trattato di un “inside job”, cioè di un’operazione maturata all’interno dell’amministrazione americana, è partito da dove partono tutti, da Pearl Harbor. Ha ricordato le polemiche secondo le quali gli Stati Uniti sapevano dell’attacco, suggerendo quindi che per ottenere un casus belli siano stati fin da allora disposti a sacrificare anche le vite degli americani. Peccato che nel 1941 la Seconda Guerra Mondiale fosse cominciata da un pezzo e che le portaerei giapponesi non abbiano attaccato Pearl Harbor su ordine degli americani. Peccato soprattutto che l’ipotesi non tenga conto del fatto che, qualora gli americani si fossero resi conto per tempo dell’attacco giapponese e avessero reagito per tempo, sarebbe stata guerra con il Giappone comunque.

Segue l’inevitabile richiamo all’operazione Northwoods, proposta dalla CIA a Kennedy e da questi rifiutata, ma anche in questo caso c’è semmai la conferma del contrario della tesi di Bernini, il presidente dell’epoca si rifiutò di autorizzare l’uccisione di americani innocenti, senza dire che Bernini e quelli che ragionano come lui dimenticano che Kennedy aveva già tentato l’invasione di Cuba nel 1961, senza bisogno di alcuna provocazione per gisutificarlo agli occhi degli americani e in seguito aveva avuto anche la “crisi dei missili” per giustificare un attacco su larga scala al regime di Castro. Dettagli, com’è un dettaglio che nessuno delle decine d’interventi militari americani all’estero nell’arco del secolo scorso abbia avuto come premessa un attentato sul territorio metropolitano.

Stessa storia per l’incidente del Tonchino, citato da Bernini allo stesso scopo, ma lo stesso Bernini ci informa che l’incidente non c’è mai stato e che quindi non c’è stato nessun “inside job”, semmai si è usata una menzogna. peggio invece per la ricostruzione en passant della Prima Guerra del Golfo, nella qual Bernini sorvola sull’invasione del Kuwait, paese sovrano, da parte delle truppe di Saddam Hussein e il dettaglio per il quale quell’intervento ricevette sostegno unanime, persino dagli arcinemici di Russia e Iran. In questo caso nessun “inside job”, per Bernini fu un intervento “per il petrolio, l’invasione del Kuwait è solo un fastidioso dettaglio incoerente con la tesi e quindi sta bene rimossa.

Bernini dice poi che sull’undici settembre «La verità probabilmente non la sapremo mai, ma sicuramente è molto diversa da quella che i media mainstream ci raccontano. In questo caso si può dire che tutto quello che sai è falso e detto all’americana: “it was an inside job”. Tradotto: fu un lavoro interno». A parte l’evidente inghippo nella logica di un’affermazione del genere (non sapremo mai la verità, ma fu un inside job), c’è da dire che in tutto il suo discorso Bernini ha fornito solo i riferimenti riportati sopra e che quindi la sua è una mera deduzione, peraltro campata su vere e proprie sciocchezze come s’è visto, così come è abbastanza campata in aria la sua affermazione secondo la quale l’Afghanistan sarebbe stato invaso per il petrolio e per il gas, dei quali invero il paese è decisamente privo.

Ma il trionfo arriva nel finale, quando Bernini riconosce che l’invasione dell’Iraq fu fondata sulla: “… fantasiosa scusa delle armi di distruzione di massa, poi rivelatasi ufficialmente un criminale pretesto”, invalidando quindi tutta la sua premessa, secondo la quale le amministrazioni degli Stati Uniti fanno attentati contro gli americani per motivare i cittadini e ottenere il loro consenso alle avventure militari. Invece lo spiega bene anche Bernini che non ce n’è mai stato bisogno, la storia insegna che sono sempre stati sufficienti pretesti o bugie molto meno impegnative e che non c’è ma stato alcun bisogno per i leader americani di rischiare di passare alla storia come il presidente che ha fatto strage dei suoi per accendere la macchina militare statunitense.

Sarebbero cretinate, se non fosse che questa ridicola e pomposa premessa è servita da introduzione per dichiararsi contrario a un intervento militare americano in Siria. A parte che Bernini è arrivato fuori tempo massimo anche per questo, c’è da chiedersi cosa lo abbia spinto a dare uno spettacolo del genere, se non una clamorosa incompetenza. Bernini si è travestito da “semplice cittadino” all’inizio del suo discorso, ma è un parlamentare italiano e quando delira dev’essere chiamato a renderne conto, com’è accaduto a Scilipoti e ad altri fantasiosi deliranti prima di lui. Paolo Bernini è, nella vulgata del M5S, un “nostro dipendente”, pagato dalla collettività in rappresentanza della collettività, e almeno nelle occasioni ufficiali sarebbe il caso che evitasse di farsi compatire lanciando accuse insostanziate ai governi di paesi alleati e, soprattutto, di diffondere le sue opinioni travestendole da fatti dimostrati. Non solo perché tanto non ci crede nessuno se la qualità è questa, ma anche per rispetto verso i suoi colleghi e i suoi elettori, che non meritano di essere esposti e accomunati al ridicolo, solo perché Bernini sente l’impellente bisogno di esibire le sue bislacche credenze.

Pubblicato in Giornalettismo