
I rivoluzionari del Bahrein non hanno in testa un cambiamento di regime o la democrazia, s’accontentano di molto meno, ma sono tra i popoli arabi repressi più duramente.
SI CONOSCONO TUTTI – Il Bahrein è davvero un piccolo paese, una monarchia assoluta con meno di un milione di cittadini, per la maggioranza sciiti e governati da un sovrano sunnita, come quelli dei paesi attorno, che invece sono tutti a maggioranza sunnita. Il paese è piccolo e la famiglia reale resiste alle stesse domande da più di mezzo secolo, esiste un servizio del 1956 di BBC che può essere usato per spiegare nel dettaglio la situazione, che da allora non è cambiata.
ERANO ENTUSIASTI – Quando sono partite le primavere arabe a Manama ne sono rimasti entusiasti e hanno occupato la loro piazza Tahrir a lungo, la rotonda della Perla (Pearl Roundabout) è stata a lungo luogo d’incontro mentre il governo sembrava prestare orecchio alla protesta. Poi il re deve aver deciso che era meglio tagliar corto, ha chiesto l’aiuto dei sauditi, ha arruolato mercenari e ha stroncato la protesta nel sangue. Da lì è stato un crescendo delirante da stato totalitario, perché i medici che hanno curato i manifestanti inermi colpiti dall’esercito sono stati condannati a lunghe pene detentive, molti di quelli che hanno simpatizzato o preso parte alle proteste sono stati licenziati, alcune decine sono stati uccisi, centinaia condannati al termine di processi-farsa e migliaia sono stati incarcerati, picchiati, feriti o torturati da una repressione ossessiva nello schiacciare qualsiasi apparenza di dissenso.
I TERRORISTI – Dice la monarchia che i manifestanti sono “terroristi” sostenuti dall’Iran, ma persino Washington, che nell’isola ha la base della Quinta Flotta e che ha continuato ad armare il regime, ha fatto capire che la tesi è del tutto infondata. Tanto più che i membri della famiglia reale incontrano pubblicamente tutti i rappresentanti delle opposizioni e i sudditi comuni senza che questi siano neppure perquisiti, l’opposizione non ha o non usa armi. Lungi dall’essere pasdaran violenti i manifestanti del Bahrein sono infatti un esempio di stoicismo e di resistenza in una lotta non-violenta contro un regime paranoico e paradossale come solo quello nordcoreano può esserci, se non fosse che Manama non è un paria come Pyongyang e che, al contrario, il tiranno locale si è persino erto a difensore dei siriani contro il regime che li opprime.
LA REPRESSIONE FREDDA – Bella ipocrisia, considerando che parliamo di un regime che da due anni inonda di lacrimogeni i sobborghi dove più forte è la protesta, tutte le notti. E tutti i giorni arresta qualcuno o una squadraccia fa irruzione in un negozio e lo sfascia, oppure succede che dopo una notte passata a sigillare le finestre per difendersi dai gas, l’alba mostri una strage di auto e di vandalismi alle proprietà. Un regime così paranoico che, sul presupposto che la protesta lo aveva “profanato” e per evitare che diventasse un simbolo, ha fatto abbattere il monumento che decorava la rotonda della Perla. Un monumento che aveva fatto costruire nel 2002 per onorare il Consiglio di Cooperazione del Golfo e che era diventato il simbolo nazionale. Abbattuto senza pensarci troppo, ritirate persino le monete sulle quali era stato impresso. Ora al posto della “Pearl roundabout” c’è la “Farooq Junction”, un incrocio delirante come tutta l’operazione. Il re, molto pio all’apparenza, ha anche pensato bene di radere al suolo tutte le moschee sciite, da quelle storiche alle più piccole stanze da preghiera, un’azione che ovunque nel mondo avrebbe destato scalpore, ma che essendo successa in Bahrein è subito caduta nell’oblio.
LE FINTE – Nel mezzo il regime si è detto disposto al dialogo, ha costituito una commissione per accertare il massacro dei diritti e dei sudditi, che ha riconosciuto quello che è successo e suggerito rimedi. E basta. Da allora non è cambiato nulla, se non in peggio, più feriti, più torturati, più anni di carcere per tutti, solo alcuni dei medici se la sono cavata grazie alla pressione di tutti i medici dell’universo che hanno colto il delirio. Per il resto si è rivelata efficace l’idea di arruolare le migliori agenzie di lobbying di Washington, capaci d’intonare senatori e stampa nel canto del silenzio e dei buoni auspici.
LA BUROCRAZIA TOTALITARIA – Tra un po’ sarà la volta dell’atto che regola le associazioni, fondamentale per costituire embrioni di partiti o anche solo per permettere alla fortissima genia di difensori dei diritti umani maturata sotto la repressione di organizzarsi. Nonostante la sbandierata atmosfera di “libertà e apertura” pare che le nuova legge sarà ancora più restrittiva di quella precedente, giudicata kafkiana per i requisiti richiesti e per il fatto che l’autorità può chiudere, fondere con altre e persino imporre propri amministratori sulla base della considerazione che non si comportano bene ad insindacabile giudizio della monarchia.
LA GIUNGLA – Qualsiasi attività di propaganda non autorizzata a un’associazione con le carte in regola porta multe e carcere, ma alle associazioni sono richiesti standard simili a quelli di una società quotata in borsa e oneri di conseguenza, con l’obbligo di assumere figure professionali, di pagare audit e via fin dov’è arrivata la fantasia. Se poi si riesce a mettere insieme tutto il necessario con grande spesa e coinvolgendo molti, il regime può sempre concludere che “la società non ha bisogno” di un’associazione così, è uno dei motivi scritti nella legge, per quel che vale. Un’altra possibilità è quella di non rispondere, dopo un po’ equivale a un rigetto. Il tutto, è bene ricordare, in un contesto nel quale si conoscono tutti di persona.
RIPROVA, SARAI PIU’ FORTUNATO – I poveri giornalisti che nel 2009 volevano fondare la Bahrain al-Nazaha (“Integrity”) Society, sono ancora lì che girano, rimpallati da un giudice a un ministero e di nuovo da capo, gli hanno dato vinto un ricorso, ma gli han detto che avevano sbagliato ministero e dpo tre anni han dovuto ricominciare tutto daccapo, nel frattempo l’unico giornale non controllato dal regime è passato sotto il controllo del regime. Se poi ce la facessero rimarrebbero comunque schiavi del governo e virtualmente impossibilitati a raccogliere soldi che non escano dalle tasche degli associati. E ovviamente per i molto benestanti finanziare questo genere d’associazioni significa esporsi a rappresaglie d’ogni genere, in un posto dove il re fa la legge, è giudice e usa esercito e polizia a piacimento, ma anche dove controlla licenze e commerci con lo stesso potere assoluto che esercita sui sudditi, arrivando anche a confiscare terreni e proprietà di valore a piacimento.
IL FILTRO – Nel frattempo l’emirato non ha perso il suo glamour, ha continuato a ospitar eventi di cartello come il GP di Formula 1 “filtrando” i giornalisti”, che di norma non possono entrare nell’emirato, a meno che non siano apertamente impegnati in un progetto pubblicitario o apologetico. A gestire la repressione lo sceicco ha chiamato un britannico e un americano, che sembra si siano particolarmente applicati in una repressione “non letale” che fa un uso abbondantissimo di gas, di fucilate a palline e torture.
NON È LA COREA – Quelli del Bahrein resistono, giocano a calcio anche se spesso le partite finiscono con i lacrimogeni in campo, pregano sulle aree spianate delle moschee anche se spesso le preghiere finiscono con i lacrimogeni in campo e continuano a protestare e a sfilare anche se finisce sempre allo stesso modo. Non è la Corea del Nord, però pur al netto della sua specificità la monarchia del Bahrein tradisce una cultura, condivisa con i sauditi e i sovrani vicini, totalitaria e repressiva ben oltre i confini della caricatura e del paradosso, tanto da far sospettare che l’educazione ricevuta dalle élite locali nelle migliori università anglofone, sia servita solo ad apprendere i trucchi necessari a mascherare regimi immutabilmente totalitari e vivere felici.
Pubblicato in Giornalettismo [Foto]
Posted on 22 luglio 2013
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