L’UE reagisce allo spionaggio, Washington tace, filoamericani allo sbando

Posted on 1 luglio 2013

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Nel weekend, dopo ulteriori rivelazioni da parte di Der Spiegel e del Washington Post, è montata la furia europea contro l’amministrazione americana.

È un problema di sicurezza nazionale, scrive Der Spiegel riferendosi allo spionaggio americano ai danni delle istituzioni e dei cittadini tedeschi. Già dalle prime rivelazioni su PRISM era apparso evidente che gli Stati Uniti spiano la Germania con la stessa intensità dedicata a Pechino, rendendo evidente come questo genere d’attività non sia rivolto contro possibili minacce, ma contro i concorrenti commerciali più temibili e in particolare contro l’Unione Europea, progetto al quale le amministrazioni degli Stati Uniti sono sempre stati ostili e che hanno visibilmente cercato d’ostacolare, stringendo ancora di più gli storici rapporti con i britannici e cercando di far leva sulle divisioni europee offrendo una sicura sponda alle amministrazioni euro-scettiche. Non meno visibile è l’ostilità all’euro, l’unica valuta che fa da contrappeso a quello che altrimenti sarebbe lo strapotere del dollaro come valuta mondiale di riferimento.

Mentre Der Spiegel rivelava un’attività di spionaggio massiccia ai danni degli alleati europei, anche con mezzi tradizionali come le microspie, il Washington Post pubblicava altre quattro slide della National Security Agency sul funzionamento di PRISM, grafiche che incidentalmente smentiscono le pietose menzogne con le quali le grandi corporation americane dell’IT hanno cercato di limitare i danni seguiti alle prime rivelazioni. L’immagine che emerge non è quella di un unico programma di spionaggio, ma di una rete composta di diversi programmi, che gode dell’apporto di cinque paesi anglofoni e in particolare dell’entusiasmo britannico. Proprio Londra è infatti emersa come impegnata a “succhiare” il traffico internet e condividerlo con gli americani, ma anche ad organizzare un G20 in casa completo di spionaggio sistematico di tutte le delegazioni.

il giornale -siamo tutti intercettati

“Abbiamo contattato immediatamente le autorità statunitensi a Washington e Bruxelles e le abbiamo messe di fronte alle informazioni di stampa, ci hanno garantito che esamineranno la veridicità delle informazioni e ci comunicheranno il risultato”, così il portavoce UE, ma sono parecchi quelli che si sono svegliati, dai verdi tedeschi che hanno proposto che sia la Germania a offrire asilo a Edward Snowden, a Martin Schultz, che nella sua veste di  presidente del Parlamento europeo ha chiesto agli Stati Uniti: “un chiarimento completo” sulla portata dello spionaggio in Europa, aggiungendo di essere:”Sono profondamente preoccupato e sorpreso, se le accuse risultassero vere, sarebbe un fatto molto grave che avrebbe un impatto grave sui rapporti tra Stati Uniti e Unione europea”. Non meno secchi da Parigi, dove il ministro degli Esteri Laurent Fabius ha comunicato: “La Francia ha chiesto oggi spiegazioni alle autorità americane in merito alle informazioni divulgate dallo Spiegel secondo cui la National Security Agency (Nsa) avrebbe spiato le istituzioni dell’Unione Europea”. Questi fatti, se confermati, sarebbero del tutto inaccettabili”.

Ancora più dura il ministro della Giustizia di Berlino, Sabine Leutheusser-Schnarrenberger: “Se quello che riportano i media è corretto, la cosa riporta alla mente le azioni tra nemici durante la guerra fredda. Va oltre ogni immaginazione che i nostri amici negli Stati Uniti vedano gli europei come nemici”. Diversi parlamentari tedeschi ed europei hanno chiesto l’arresto dei colloqui bilaterali USA-UE sul libero commercio, almeno fino a quando Washington non fornisca i chiarimenti richiesti.

L’imbarazzo di Washington è evidente, tanto che si è improvvisamente spostata l’attenzione sulla caccia a Snowden, che secondo un’inedita Susan Rice*, ambasciatrice degli Usa all’Onu, non ha danneggiato gli Stati Uniti. Apparentemente il silenzio dell’amministrazione lascia spazio di manovra agli avversari dello spionaggio totalitario, una pausa della quale ha approfittato Margaret Sullivan, il Public Editor del The New York Times, che ha regolato alcune questioni semantiche, che non sono solo tali. La stampa americana non ha brillato all’apparire del caso Snowden, e Sullivan lamenta l’uso del termine “blogger” per definire un giornalista investigativo come Greenwald, peraltro giornalista di The Guardian, affiancato dalla validissima Laura Poitras con un passato d’avvocato che si è occupato della difesa dei diritti civili. Vittima di questi espedienti anche Alexa O’Brien, giornalista di razza definita “attivista”, negandole il riconoscimento professionale agli occhi dei lettori.

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In tutto questo rivolgere e riflettere il nostro paese si segnala purtroppo per l’assenza, forse figlia di un malsano filo-americanismo acritico, ma più probabilmente perché il nostro paese paga il prezzo di una sudditanza a Washington che ha pochi paragoni tra i grandi paesi europei. Se dal governo non è ancora venuto un fiato, è addirittura pietoso è il panorama dalla nostra stampa. Mentre lo scandalo partiva in repentina escalation la crema del nostro giornalismo discuteva su Twitter di un infortunio di The Guardian, concludendo che si tratti di giornalismo “scooparolo” e prendendosela anche con Greenwald, peraltro estraneo all’errore. Ancora più paradossale che le stesse agenzie che hanno bucato la notizia e l’hanno attribuita a The Guardian, poi abbiano attribuito la “sbufalata” a The Telegraph.

Merita di essere esaminata la dinamica di questo infortunio, per rendersi conto di come le maggiori testate italiane, in questo caso La Repubblica, il Corriere della Sera e La Stampa, hanno affrontato il caso. The Guardian ha ripreso e citato un articolo di The Observer, che citava alcune dichiarazioni di un tale, Wayne Madsen, ex ufficiale dei servizi statunitensi, secondo il quale sette paesi europei, tra i quali l’Italia, si lascerebbero spiare da Washington con gioia. Peccato che Madsen non offra la minima pezza d’appoggio alle sue “rivelazioni”. E peccato che Madsen sia un noto esagerato, uno di quelli che il 9/11 lo han fatto con le atomiche e via delirando. Purtroppo, cito un commento ricevuto su Twitter: “in rete tutti sanno chi è Madsen, eccetto i giornalisti professionisti” e così The Guardian è stato investito da una marea di proteste e di segnalazioni, alle quali ha reagito ritirando brutalmente l’articolo subito dopo che The Observer aveva fatto lo stesso.

Morale della favola, le testate italiane alla vista dell’articolo di The Guardian sono corse a mescolare questa “rivelazione” con quelle vere e fondate, confezionando un minestrone orrendo e in seguito rettificando gli articoli compromessi alla meno peggio. Ovviamente nessuno nelle grandi redazioni italiane è stato colto dal minimo sospetto al leggere il nome di Madsen e così il pateracchio si è consumato malamente, complice la notte diversi articoli assurdi sono rimasti per ore online senza che nessuno ci mettesse mano fino a mattina inoltrata. Il bello è che, a sentire le riflessioni di alcune firme dei tre giornali in questione, la colpa sarebbe di The Guardian. Dove probabilmente ci sarà stato un redattore che ha fatto esattamente quello poi hanno fatto nelle redazioni italiane, hanno girato l’articolo di un’altra testata senza alcun vaglio critico. Resta da vedere se saranno rettificate le edizioni cartacee, di sicuro ci sono ancora molti articoli che citano Madsen senza riportare alcuna rettifica [1][2][3][4]– [5]. Ma criticare The Observer non interessa al nostro giornalismo militante e un po’ militonto, così ci siamo dovuti sorbire anche lo spettacolo della lapidazione di The Guardian da parte dei giornalisti di testate che avevano beccato da The Guardian, ché è sempre colpa di un altro, com’è stata colpa di altri quando pochi giorni prima le stesse testate hanno sparato “l’appello di Snowden” raccolto da un profilo finto su Twitter, anche in questo caso ci voleva poco a controllare e ancora meno a sapere che Snowden non ha account sui social network.

L’evidente soddisfazione per il buco preso dai colleghi britannici non discende però dall’invidia per il successo d’immagine o per la reputazione di The Guardian, peraltro non immacolata, ma più banalmente dall’avere le nostre maggiori testate sposato la linea del sopire e del minimizzare. Decine di articoli hanno sparso ipotesi sulla malafede di Snowden, altrettanti hanno spiegato che “tanto si sapeva” e allo stesso tempo che “non è vero che spiano tutti”, nessuno dei sedicenti patrioti che in tanti altri casi si sono inalberati ha sollevato un ciglio di fronte all’evidente lesione della nostra sovranità nazionale e al silenzio servile del governo. per non dire di quelli che s’inalberavano per la lesione della privacy da parte dei magistrati: “Siamo tutti intercettati” si titolava allora, ma se lo fanno gli americani va bene, a proposito di giornalismo militante e partigiano, che piega la realtà alle esigenze dei governi, questo piccolo episodio spiega più di tante parole.

Persino il gruppo L’Espresso, che può contare su Stefania Maurizi che ha accesso a Wikileaks e su Fabio Chiusi che sta accumulando materiali sul caso Snowden, preferisce nascondere queste risorse e affidarsi a pezzi d’opinione che descrivono il poveretto che s’è ribellato al mostro dello spionaggio, come un irresponsabile anarchico che vuole distruggere un sistema che in fondo va bene così. Tendenze evidenti, che confermano una volta di più l’enorme grado di sudditanza politica, economica e culturale del nostro paese nei confronti di Washington.

Pubblicato in Giornalettismo

*inizialmente avevo attribuito le dichiarazioni di Susan Rice a Condoleeza Rice