Caso Snowden e informazione: l’Eco di Washington

Posted on 25 giugno 2013

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Il quotidiano La Stampa da sempre è la prima rappresentante in Italia di uno smaccato filoamericanismo, ma da quando il baricentro di casa Fiat si è spostato verso gli Stati Uniti, l’atteggiamento ha assunto proporzioni ancora più imbarazzanti. Sul caso Snowden si sono esibiti diverse sue penne, ma nemmeno Riotta finora era riuscito ad arrivare dov’è giunto oggi Paolo Mastrolilli, corrispondente dagli Stati Uniti, che nello stesso articolo è riuscito a ipotizzare una “alleanza” che comprenderebbe  Vladimir Putin, Xi Jinping, Julian Assange, Baltasar Garzón, Rafael Correa,  i fratelli Castro e Nicolàs Maduro, tutti insieme appassionatamente per far dispetto a Obama.

Ma Mastrolilli fa anche qualcosa di più, e nel rimescolare realtà e fantasia arriva a definire “regime” il governo di Correa in Ecuador.

Approfittando di Twitter gli ho chiesto ragione di queste scelte curiose, in particolare e per farla breve  da dove avesse tirato fuori i Castro, il “fantasma di Chavez incarnato ora da Maduro” e il regime.

Per i Castro ha spiegato che inizialmente Snowden aveva acquistato un biglietto per Cuba, ma è evidente che il depistaggio grazie al quale un discreto numero di giornalisti si è imbarcato per Cuba su un volo transcontinentale dell’Aeroflot sul quale non servivano alcolici (cosa che ha divertito molto la comunità globale dei cronisti), non implica nessuna complicità cubana, non c’è bisogno del consenso di Castro per comprare un biglietto per Cuba. Sul Venezuela invece non c’è stato modo di avere chiarimenti solo un accenno al fatto che sìera parlato di Venezuela come sua meta. Nessuna fonte vicina a Snowden o a Wikileaks ha però nominato il Venezuela e nemmeno il Venezuela si è fatto avanti, come peraltro Cuba, ad offrire asilo a Snowden, ma per Mastrolilli tanto è bastato per tirare in mezzo Maduro.

In compenso Mastrolilli si è speso di più per spiegare la frase: ” la contraddizione salta agli occhi, come del resto nel caso di Assange, che vive nell’ambasciata di un regime apertamente accusato di violare la libertà di stampa”.

Due sono gli argomenti che ha proposto, dicendo che secondo Treccani il termine regime è neutro e poi affermando che lo definisce regime perché non c’è libertà di stampa, affermazione per la validare la quale ha offerto link a Freedom House, che comunque parla di governo Correa e non usa il termine regime. Freedom House, che incidentalmente riceve la maggior parte dei fondi necessari alla sua sopravvivenza dal governo americano e che opera sotto la supervisione del Dipartimento di Stato. Matrolilli quindi dice che è un regime perché gli Stati Uniti dicono che non rispetta la libertà di stampa.

Queeii comunisti di Reporter Sans Frontieres, che pure sono conosciuti per aver tramato con gli statunitensi ai danni di Cuba, non sono dello stesso parere e nella loro mappa l’Ecuador ha lo stesso colore dell’Italia, nella sua mappa della libertà di stampa. Resta il fatto che Mastrolilli non usa abitualmente il termine regime nemmeno per indicare i gioverni totalitari dei paesi del Golfo o il governo turco, che è il campione mondiale d’incarcerazione di giornalisti, non usa la parola regime per quasi nessuno dei paesi nei quali di libertà di stampa non c’è traccia. Ma per l’Ecuador sì, perché “Per Treccani regime è parola neutra, lo distingue cosa fa e quello dell’Ecuador viola la libertà di stampa”. Un’evidente contraddizione, ma quando l’ho evidenziata m’ha risposto il silenzio.

Di più, se provate a mettere Correa+regime in un motore di ricerca, scoprirete subito che a condividere l’idea di Mastrolilli non troverete nessuna delle grandi testate internazionali, per quanto possano essere filoamericane. Nemmeno il Washington Post, che pure lo accusa di far parte di un fronte antidemocratico internazionale, usa il termine regime, lo accusa  di aver vinto con un sacco di voti perché “colpevole” di aver speso in maniera “insostenibile” i guadagni del petrolio in programmi sociali, ma non parla di frodi elettorali e nemmano di regime, fino a prova contraria se un governo ottiene voti dai meno abbienti come premio per le sue scelte, si chiama democrazia.

Il gioco è quindi facilmente scoperto e non ci sono originali intuizioni a giustificarlo, c’è solo una partigianeria evidente e una cronaca talmente inquinata dall’ideologia, da risultare ingannevole per il lettore sprovveduto e irritante per qualsiasi lettore minimamente consapevole.

Al quale si vuole nascondere il vero scandalo, che è quello per il quale per portare a buon fine la sua denuncia senza rischiare la tortura o la pena di morte Snowden è dovuto fuggire dalla “terra dei liberi” e non ha potuto trovare sicuro rifugio in nessuna delle “grandi democrazie”, nonostante sia chiaro che ha pienamente diritto all’asilo, proprio perchè gli stessi Stati Uniti hanno ammesso di aver sottoposto a trattamenti inumani Bradley Manning. Ma l’unico riferimento ai rischi che attendono Snowden, se preso dai suoi compatrioti, è nella frase:

“Qualcuno potrà obiettare che non aveva alternative, però la contraddizione salta agli occhi, come del resto nel caso di Assange, che vive nell’ambasciata di un regime apertamente accusato di violare la libertà di stampa. “

Sfortunatamente per Mastrolilli è altro quello che salta agli occhi leggendo articoli impostati in maniera tanto originale, e non è solo l’impiego doloso e scorretto del termine regime o la sua fantasiosa ricostruzione di un’alleanza del male, che esiste solo nelle fantasie della peggiore e marginale propaganda statunitense.