Netanyahu bastonato, ma ancora in sella

Posted on 24 gennaio 2013

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Hanno vinto i “tour dell’ottimismo” di Lapid. Alla radicalizzazione della Knesset verso destra, sembrano aver risposto un maggior afflusso di elettori e il desiderio di cambiamento di molti delusi dal governo di destra, costringendo Netanyahu a una vittoria di misura. Il primo ministro israeliano ha già ringraziato gli elettori per averlo voluto di nuovo alla guida del paese, un’affermazione che però lascia parecchi dubbi e non solo per la sua risicata vittoria. Il suo Likud e l’Israel Beytenu di Lieberman avevano 42 seggi nel vecchio parlamento e ne avranno 31/32 in quello nuovo dopo essersi fusi, una mossa che secondo i due leader avrebbe rafforzato la destra laica alla guida di una coalizione che troppo aveva dovuto pagare ai partiti dell’estrema destra religiosa. Il partito (non tutto) di Netanyahu vale appena un quarto dei seggi in parlamento, anche se resta il più votato e la sua coalizione non ha strappato una maggioranza netta, ma semmai la peggior vittoria immaginabile.

L’operazione avrebbe dovuto tranquillizzare i moderati e attirarli verso il progetto, nella totale assenza di contendenti che avessero la minima possibilità di contendere il primato a Netanyahu e alla sua coalizione che sognava di aumentare i 65 seggi su 120 che manteneva nel vecchio parlamento. Lo spoglio quasi completo delle schede dice invece che i voti all’interno della coalizione di destra sono andati verso la Casa Ebraica (da 3 a 11); il partito dei coloni di cui ha assunto la guida Naftali Bennet dopo essere uscito dal Likud; e i partiti dell’estremismo religioso in senso stretto. Nel complesso la coalizione ha perso seggi, fermandosi a 60, uno in meno della maggioranza, quando lo spoglio era giunto all’86% dei voti al netto del voto dei militari, che nell’insieme dovrebbe portare almeno un seggio in più alla destra, se ricalcherà le dinamiche elettorali note. Si saprà martedì.

Ha votato il 66,6% degli aventi diritto, un po’ più che nel 2009 e il quadro che ne esce appare particolarmente in bilico. Netanhyau può esordire anche con una maggioranza di 61 o 62 parlamentari, ad averla, ma si troverebbe poi in una situazione nella quale ogni singolo deputato estremista diventerebbe determinante ed è difficile ipotizzare lunga vita a un governo del genere.

Nell’area che va dal centro alla sinistra fino ai partiti arabi sono piovuti, oltre ai voti rosicchiati al blocco di destra, i voti liberati dalla disintegrazione di Kadima, che era il partito di maggioranza relativa con 28 seggi e che ne ha raccolti appena 2 (due). 7 seggi sono andati ad Hatnu’a, la nuova creatura di Tzipi Livni, alcuni a gonfiare il Labor che arriva a 15, 3 a raddoppiare Meretz, ma soprattutto 19 seggi allo Yesh Atid di Yair Lapid, un ex anchorman televisivo che ha creato il suo partito a gennaio dello scorso anno e che ora si ritrova a capo della seconda forza del paese.

Lapid ha plasmato un partito centrista che a forza di slogan semplici ha raccolto grandi consensi, frustrando così le speranze di riscossa del Labor a sinistra e ora il suo partito sembrerebbe l’alleato ideale per rafforzare un Netanyahu troppo dipendente da estremisti religiosi e nazionalisti, peraltro ben rappresentati anche all’interno del nuovo partitone, che dalle elezioni è uscito umiliato. Se poi Avigdor Lieberman scegliesse di tornare da dov’è venuto con i suoi, Netanyahu si ritroverebbe con un Likud delle stesse dimensioni del partito di Lapid.

Shelly Yacimovich, leader del Labor, è l’altra grande sconfitta, ha perso voti verso Meretz e verso Livni e probabilmente a causa delle sue vaghezze sul processo di pace, doveva essere il suo momento ed è stato un flop. per ora pare difficile che Lapid o altri possano giungere da sinistra in soccorso senza che a Netanyahu sia chiesta una tassa pesante.

Rispondendo agli appelli di altri leader della non-destra che invitavano a non offrire sostegno a Netanyahu, Lapid ha detto chiaramente che non è disposto a fare da foglia di fico in un governo Netanyahu e che accetterebbe di andare al governo solo condividendo la responsabilità con altre forse dell’opposizione. Un’idea che a Netanyahu piacerà poco e ancora meno ai suoi alleati, che rischiano di veder svanire il potere d’influenza del primo ministro. (P.s. Lapid ci ha messo pochissimo a cambiare questa sua convinzione e sta trattando con Netanyahu)

In una maniera o nell’altra, sono brutte notizie per i palestinesi, che vedono confermata una maggioranza apertamente impegnata nello spingere la colonizzazione sistematica della West Bank. L’argomento si chiuderà prima d’aprirsi per tutta la prossima legislatura, perché fino a che non ci sarà una maggioranza robusta a favore del processo di pace è inutile illudersi e oggi non c’è forse nemmeno tra la non-destra.

Paradossalmente però saranno proprio i vincenti di oggi ad avere l’oneroso compito di sopravvivere nel cuore degli elettori fino alle prossime elezioni e mostrare che possono fare di più e meglio partendo dal successo di oggi. Lapid ha condotto una campagna di comunicazione intensa a botte di slogan semplici come “Siamo venuti per cambiare le cose, “I nostri figli potranno comprarsi gli appartamenti” e “Pagheremo meno per benzina ed elettricità”, mentre è stato particolarmente evasivo quando sono partite le domande sulla Palestina, è pure a favore di un reale processo di pace,  e sull’economia. Domande che ha evaso con la consumata disinvoltura di un professionista della televisione, ma che sono e continueranno a essere le questioni più importanti sul tappeto nel prossimo futuro. Se Bennet è sicuramente un politico rodato, lo stesso non si può dire di Lapid, che esordisce a capo della seconda forza politica del paese senza alcuna esperienza parlamentare pregressa, costretto a distinguersi e a caricarsi di responsabilità e di compiti difficili, se vorrà avere speranze di non essere una meteora.

Pubblicato in Giornalettismo

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