Guerra di bufale sull’Iran

Posted on 30 novembre 2012

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Ora anche l’Associated Press fa concorrenza al regime iraniano nello smercio di patacche.

Quella con l’Iran è una guerra fredda che dura dalla sua fondazione e che negli ultimi anni è sembrata salire d’intensità. Confronti di questo tipo si nutrono di propaganda, volta da una parte a descrivere il nemico come un pericolo per l’umanità e dall’altra a fortificare nelle opinioni pubbliche di riferimento di essere dalla parte giusta, quella che ha risorse morali e materiali per vincere il conflitto.

Il problema è che in casi del genere le diverse attività di propaganda possono convergere con reciproca soddisfazione e alla fine l’unica vittima che rimane sul terreno è la verità, mentre le opinioni pubbliche sono nutrite con robaccia e favole per bambini. Capita così nel caso delle potenzialità belliche iraniane, che sia il regime che i suoi nemici hanno interesse ad amplificare, giungendo al risultato paradossale per il quale un paese che non possiede neppure una marina o un’aviazione degne di questo nome assurge a minaccia planetaria. L’esempio più prossimo è quello di Saddam, che dopo un decennio di embargo e con il paese occupato a metà era spacciato per una potenza grazie a una serie di falsi abbastanza incredibili, che per parte sua confermava profferendo di continuo minacce a beneficio della sua audience interna.

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Così è oggi per l’Iran, che delira di possedere armi avanzate, ma che quando le mostra finisce spesso per essere beccato con le mani su Photoshop. È successo con i lanci di missili e il fenomeno si è ripetuto anche di recente dopo l’annuncio della costruzione di una avanzatissimo drone a decollo verticale, il Koker1. Niente di vero, le foto diffuse dagli iraniani sono state in realtà prelevate da una gallery del sito dell’università giapponese di Chiba e taroccate leggermete a cancellare alcune riconoscibilissime ventole sul tetto di un edificio.

Dall’altra parte è attiva una fabbrica di bufale speculari, impegnata a dimostrare la pericolosità dell’Iran e pertanto pronta a segnalare ogni acquisto di materiali sospetti, dal comune cemento a i prodotti metallurgici. Ma ovviamente l’impegno maggiore è profuso nel dimostrare che l’Iran stia perseguendo un programma nucleare militare, perché anche in questo caso la presenza o la volontà di procurarsi “armi di distruzione di massa” sono il casus belli che finora ha giustificato l’imposizione di severissime sanzioni e ogni genere di minaccia all’indirizzo di Teheran.


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Proprio nei giorni scorsi, fonti di “due paesi critici verso il programma nucleare iraniano” hanno fornito all’AssociatedPress un grafico che hanno detto provenire dai documenti a disposizione dell’AIEA, un grafico che dimostrerebbe che gli iraniani stanno lavorando alla bomba atomica. Una robaccia a prima vista, che solo qualche pasdaran della disinformazione ha osato passare senza abbondante uso di condizionali, mettendoci anzi del suo. Una bufala che ha fatto poca strada, perché in breve si è avuta conferma che un grafico del genere si può reperire sui libri di fisica come in rete e quindi non dimostra proprio niente. Un dettaglio che era comunque presente nel dispaccio AP, che accompagnava il disegno con l’opinione di un esperto che ne ridimensionava l’importanza probante. A indagare a fondo è stato Glenn Greenwald per The Guardian, che ha raccolto opinioni nette da parte degli scienziati e degli esperti che ha interrogato.

Sul Bulletin of Atomic Scientists (BAS) Yousaf Butt e Ferenc Dalnoki-Veress hanno poi definito  il disegno una “bufala amatoriale”, affondando definitivamente la credibilità della patacca. A confezionarla quindi non può essere stato uno scienziato di livello, più probabilmente è stata copiata da internet e decorata con una scritta in farsi per farla sembrare più “iraniana”.

Eppure AP ha lanciato la notizia con il titolo”AP EXCLUSIVE: GRAPH SUGGESTS IRAN WORKING ON BOMB” (Esclusiva AP: grafico indica che l’Iran lavora alla bomba) e la prima parte del lancio confortava il titolo, un clamoroso infortunio si direbbe, se si potesse concludere che AP è stata ingannata dagli emissari dei due governi misteriosi (Usa e Israele), ma appare più verosimile l’autore del pezzo non fosse così ingenuo da non rendersi conto dell’inconsistenza della storia. Tanto che qualche verifica l’ha fatta e ne ha riportato l’esito negativo, senza che questo tuttavia lo convincesse a cambiare il tono dell’articolo. Una patacca a livelli di quella sulle ninja assassine made in Teheran spacciata a suo tempo da Reuters.

Per difendersi da questo diluvio di falsi i giornalisti e i lettori hanno solo un’arma: la prudenza. Prudenza nell’accogliere le notizie più clamorose e nel soppesare le fonti, da rafforzare con una buona dose di diffidenza, visto che le fonti hanno dimostrato di essere impegnate a tempo pieno nella diffusione di patacche e che neppure il filtro di organizzazioni come Associated Press può essere considerato sufficiente, quando si tratti di arginare certa propaganda d’origine occidentale. In casi del genere le maggiori agenzie occidentali si trovano sullo stesso livello di credibilità di quelle iraniane, da prendere con le molle.

 

Pubblicato in Giornalettismo