Cosa succede a Julian Assange

Posted on 22 agosto 2012

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Molta confusione e molte inesattezze circondano il caso che vede coinvolto Julian Assange.

Di una cosa si può essere sicuri, i soggetti e i paesi che non hanno gradito l’attività di Wikileaks sono fermamente determinati a farla pagare a Julian Assange. I più vocali in questo senso sono gli americani che in diverse occasioni e a diversi livelli hanno manifestato sia l’intenzione di processare Assange  che quella di danneggiare Wikileaks. Il problema di fondo è che l’uno e l’altro non sono perseguibili per le leggi statunitensi, perché non hanno preso parte ad alcun furto di documenti statunitensi, non hanno mai agito sul territorio americano commettendo reati e perché non hanno fatto altro che esercitare l’attività giornalistica, diffondendo informazioni ricevute. Molte delle quali sono protette e segretate dalle leggi americane, che però non hanno alcun valore non costituiscono alcuna giurisdizione su giornalisti e organizzazioni straniere che le divulghino dopo averle ottenute lecitamente. E nessuna delle informazioni divulgate di Wikileaks è mai stata prelevata direttamente dall’organizzazione commettendo atti illeciti.

Questo tuttavia non impedirebbe agli Stati Uniti, alla luce soprattutto delle leggi liberticide varate dopo l’undici settembre 2001, di classificare Assange come un “terrorista” e quindi trattarlo da “combattente nemico” anche se non ha mai preso le armi   contro il governo di Washington. Di più, l’amministrazione Obama procedendo ad autorizzare l’esecuzione di Anwar al-Awlaki e di Samir Khan, due cittadini americani uccisi in Yemen con un bombardamento aereo, ha dimostrato di potere e volere uccidere due persone che non avevano mai preso parte ad azioni militari e che si occupavano fondamentalmente di propaganda, senza alcun processo, senza nessuna imputazione formale e facendo stracci dei diritti costituzionali riconosciuti ai cittadini americani sulla mera base di un ordine presidenziale e senza alcun processo che non fosse la “valutazione” da parte dell’amministrazione e delle agenzie d’intelligence dell’opportunità di ucciderli. Che tale pratica sia la di fuori della costituzione americana è ammesso da chiunque, anche da giuristi e istituzioni non certo sospettabili di mollezza con i nemici o di avere un’agenda straordinariamente libertaria.

Guantanamo e anche la detenzione del soldato Bradley Manning, dimostrano poi come l’amministrazione Obama continui da un lato a mantenere in vita un limbo giuridico (relativamente) extra-territoriale nel quale non valgono le leggi americane, ma solo il volere dell’amministrazione e dall’altra come l’amministrazione abbia dis-applicato la giustizia, detenendo una persona per oltre 800 giorni senza processo e in condizioni platealmente punitive, che fanno concludere che Bradley Manning oggi non sia un reo che sta scontando la pena o in attesa (lunghissima) di un processo, ma soggetto a un trattamento incostituzionale che ha il solo scopo d’intimorire chi volesse seguire il suo esempio. Non è un caso che l’amministrazione Obama abbia di gran lunga superato quella precedente nel perseguire chi ha rivelato segreti o informazioni sgradite a Washington, mentre allo stesso tempo ha lasciato trapelare volontariamente (senza punirne gli autori) informazioni che, pur essendo segrete e potenzialmente pericolose per il governo e per il paese, hanno offerto di Obama l’immagine di un comandante in capo che dirige personalmente la guerra al terrore, come nel caso delle rivelazioni secondo le quali è il presidente a decidere chi di quelli che sono nelle kill-list che gli presentano le agenzie di sicurezza sia da uccidere. Una procedura che non ha albergo nella costituzione americana e nemmeno nelle leggi approvate dal Congresso e che per ora sembra sostenuta semplicemente dal consenso implicito di una società che fa la ola ogni volta che un presunto nemico viene eliminato.

LE PAURE DI ASSANGE – Il che è più che sufficiente per legittimare il timore di Julian Assange di essere estradato in un paese che oggi si presenta alieno alla civiltà giuridica occidentale e allo stesso tempo legittima la concessione dell’asilo politico da parte dell’Ecuador allo stesso Assange, che per questo si può ben definire una persona sottoposta a una gravissima minaccia, peraltro echeggiata negli anni dagli ufficiali dell’amministrazione e da numerosi politici. Una minaccia allucinante sia perché è platealmente illecita, sia perché validandola si ammetterebbe che tutti i paesi del mondo potrebbero perseguire i giornalisti di altri paesi istruendo un procedimento penale nei loro confronti. Dalla Russia alla Cina, e vale per tutti i paesi del mondo, basterebbe un giudice compiacente e, senza neppure un’imputazione, qualsiasi regime potrebbe emettere mandati di cattura internazionali nei confronti dei giornalisti di altri,  anche se in questo caso c’è da scommettere che, chi avanza queste pretese nei confronti di Assange, griderebbe allo scandalo.

CONTRO L’ASILO NIENTE – Del tutto fuori luogo e irrilevante è poi sindacare i motivi che hanno spinto l’Ecuador a concedere l’asilo politico, così come lo stato della libertà di stampa nel paese, che non inficiano minimamente una valutazione che dev’essere fondata sul pericolo che corre Assange di essere oggetto di una persecuzione politica e non sulle intenzioni recondite del paese che glielo concede. A parti invertite gli Stati Uniti, seguendo questo ragionamento, non potrebbero offrire asilo a nessuno. Inutile poi dire che l’incredibile minaccia da parte del governo britannico di togliere lo status diplomatico all’ambasciata londinese di Quito, prima che l’Ecuador decidesse se concedere l’asilo al fuggitivo, basta da sola a convincere chiunque che da parte della Gran Bretagna (almeno) ci sia un intento persecutorio, visto che una minaccia del genere non è mai stata pronunciata prima e che non si vede altro motivo per il quale il Foreign Office possa essere giunto a tali estremi, per fare in modo  che il sospettato di un reato comune possa essere tradotto in un paese straniero per essere interrogato.

LA VERA SVEZIA – Allo stesso modo Assange ha ragioni fondate di temere il sistema giudiziario e le leggi svedesi che, al di là dell’immagine di civiltà di cui gode il paese dei Nobel, ha partecipato alle rendition consegnando al regime di Mubarak persone poi sottoposte a tortura, ha concluso un accordo segreto per la costruzione di una fabbrica di missili a artiglierie con l’Arabia Saudita in frode alle sue stesse leggi che lo vietano ed è stato criticato per l’abuso della detenzione e dell’isolamento. Il comitato dell’ONU contro la tortura ha criticato duramente la Svezia per le condizioni di detenzione e per le procedure delle corti svedesi e per il fatto che restrizioni nei confronti dei detenuti, come l’isolamento, siano applicate al 42% dei detenuti sospettati e non ancora imputati. Che per questo si trovano in condizione di netta inferiorità, mentre chi li accusa ed i testimoni sono liberi di organizzarsi a piacimento potendo contare inoltre sul fatto che ai sospetti sia proibito l’uso del telefono, sia possibile censurarne la corrispondenza anche per lunghi periodi. Critiche ribadite anche dall’European Commission Evaluation Report on Sweden.

NESSUNA GARANZIA –Assange ha quindi ottime ragioni di dubitare del sistema svedese e dell’inutilità della legge svedese, e di quella europea, che proibisce l’estradizione verso paesi nei quali l’estradato rischierebbe la pena di morte, come gli Stati Uniti,  perché una volta sul suolo americano qualsiasi ricorso alla giustizia europea o svedese sarebbe del tutto pleonastico nella pratica.

UN MUCCHIO DI FALSITA’ – Molte inesattezze sono poi circolate per dismettere i numerosi dubbi che aleggiano sullo strano mandato di cattura emesso dal procuratore svedese che si occupa del suo caso. In particolare non corrisponde al vero che Assange non possa assolutamente essere incriminato senza essere prima interrogato di persona. Diversamente si avrebbe il caso paradossale per il quale in Svezia si potrebbe commettere qualsiasi reato ed uscire dal paese prima di diventare oggetto di un mandato di comparizione, bloccando in tal modo l’azione della giustizia svedese, che non potrebbe procedere neppure all’incriminazione senza l’interrogatorio dei rei e la loro presenza in udienza e potrebbe quindi ricercarli solo in qualità di testimoni. La legge svedese prevede ovviamente che l’imputato possa essere rappresentato dai suoi legali o dai legali d’ufficio senza comparire e da nessuna parte c’è scritto che debba essere arrestato obbligatoriamente prima dell’imputazione. Resta che comunque Assange è già stato interrogato dalla procura svedese dopo la riapertura del suo caso, che era stato chiuso in un primo momento, e che nessuno lo ha convocato in udienza, visto che non sono state formalizzate neppure le accuse. Ecco la cronologia degli eventi come ricostruita da Stefania Maurizi per l’Espresso:

I TEMPI  – 

Il 20 agosto 2010, il Swedish Prosecutor’s Office ha emesso un mandato di arresto contro il fondatore di WikiLeaks per stupro, divulgando immediatamente la notizia alla stampa. Appena 24 ore dopo, però, il mandato è stato ritirato dalla stessa autorità giudiziaria che lo aveva emesso e che, successivamente, aveva ritenuto che il reato di stupro andasse derubricato come molestie. Successivamente, però, è entrato in scena l’avvocato svedese Claes Borgstrom, che, per conto delle due ragazze, ha presentato appello contro la decisione di revocare il mandato di arresto e di procedere per molestie. Claes Borstrom è un politico socialdemocratico, esperto di reati contro le donne, che lavora da anni a un’estensione del reato di stupro anche all’interno di rapporti sessuali consensuali. Viene accusato dai supporter di WikiLeaks di voler usare un caso di straordinaria visibilità mediatica per promuovere la sua carriera politica. Dopo l’intervento di Claes Borgstrom, cosa è successo? Il caso è stato riaperto. Assange viene interrogato una prima volta il 31 agosto 2010 (Senza emissione di un mandato d’arresto ndr.). Il 27 settembre 2010 Assange vola a Berlino per incontrare ‘l’Espresso’. L’appuntamento è stato fissato con il suo team un mese prima. Il 28 settembre 2010 Assange viene informato al telefono dal suo avvocato svedese, Bjorn Hurtig, che i magistrati svedesi hanno emesso un nuovo mandato di arresto perché vogliono interrogarlo di nuovo.

FANTASIE – La notizia che occorra un interrogatorio o la presenza in Svezia di Assange per attivare l’imputazione è quindi da considerarsi clamorosamente falsa e diffusa dolosamente, visto che chiunque può verificare come l’interrogatorio sia successivo alla riapertura del caso e quindi, anche qualora fosse necessario, si sia in effetti svolto. Falsa anche l’accusa che Assange si sia recato a Berlino per fuggire all’arresto, del quale non aveva alcuna conoscenza, e falso che lo abbia fatto nel timore di essere arrestato. Maurizi e L’Espresso hanno trasmesso un affidavit ai legali di Assange nel quale testimoniano che l’incontro era programmato da un mese. Il che significa che Assange è semplicemente andato a un appuntamento programmato e non è fuggito, tanto più che prima di lasciare il paese ha chiesto il permesso allo stesso procuratore, Marianne Ny, che glielo ha accordato, salvo emettere dopo pochi giorni il mandato di comparizione.

GLI ERRORI SVEDESI – Secondo  Sven-Erik Alhelm, ex procuratore distrettuale di Stoccolma e ora docente all’università di Lund, sono inoltre parecchie le irregolarità nel caso.

1. La polizia ha interrogato le sue due accusatrici insieme invece che separatamente, per Alhem fu un “errore” che ha “contaminato le prove”, un comportamento “non professionale”.

2. La procura informò i media dell’identità di Assange durante la fase d’investigazione contro quanto previsto dalla procedura. I processi per stupro e abusi sessuali sono normalmente condotti in segreto e l’identità dei sospetti è tenuta riservata fino alla loro imputazione, perché qualora le accuse si rivelassero inconsistenti l’accusato subirebbe comunque un grave danno. Più che evidente nel caso di Assange che è considerato uno stupratore da mezzo mondo senza che la giustizia svedese lo abbia mai accusato di esserlo. “Tale conferma dell’identità di un sospetto ai media, nella mia opinione, è del tutto contro la procedura corretta e in violazione delle leggi svedesi sulle indagini preliminari”.

3. Nonostante Assange si sia reso disponibile ad essere interrogato ancora mentre era in Svezia, il procuratore ha scelto di non sentirlo, anche se le presunte vittime sono state re-interrogate mentre Assange era ancora nel paese. Evitando di ottenere la versione del sospettato negli stadi iniziali del procedimento, s’impedisce l’emersione dell’immagine complessiva degli eventi da tutte le angolazioni.

4. Assange potrebbe ancora essere interrogato a Londra dalla polizia svedese, anche nell’ambasciata dell’Ecuador (che si è detto disponibile) come ha più volte dichiarato di essere disposto a fare, possibilità rigettata dalla procura (ndr. e che molti media hanno presentato al pubblico come “non possibile” ). Non è ancora accusato di alcun reato,  dato che il mandato di cattura europeo è stato emesso con una richiesta d’estradizione formalmente indirizzata a un testimone. (ndr. La corte britannica ha concluso che la richiesta svedese “equivale” a un’incriminazione britannica)

5. Alhelm sostiene che l’emissione del mandato di cattura europeo sia “contro i principi di proporzionalità”.

6. L’attuale procuratore di Stoccolma, Marianne Ny, potrebbe ancora chiedere il permesso britannico d’interrogare Assange a Londra, ma sostiene che sia contro la legge svedese, una pretesa che secondo Alhem non ha nessun fondamento nella legge. Alhelm tuttavia (e ovviamente) dice che la vera battaglia dev’essere combattuta in Svezia e che se fosse in lui si presenterebbe al più presto per chiarire, ritenendo infondate le ipotesi di complotto e affidabile il sistema svedese.

CARTA CANTA – Un dato facilmente verificabile perché la Mutual Legal Assistance è espressamente prevista dalla legge britannica come da quella svedese. Perché il procuratore Ny menta su questo punto se lo sono chiesti in pochi e c’è da chiedersi perché i diversi compilatori di piccoli Bignami sul caso diffondano notizie false e facilmente verificabili come tali. Alla richiesta a livello governativo da parte dell’Ecuador di procedere all’interrogatorio, il governo svedese ha risposto recentemente motivando il suo diniego con la difesa del “prestigio svedese“, non certo con argomentazioni giuridiche. Da rilevare inoltre come la dichiarazione originale del procuratore sia sparita dopo qualche tempo dai siti svedesi che ospitavano il lancio d’agenzia, anche se continua a fare il giro del mondo, un esempio della differenza tra prima e dopo è stato registrato e diffuso dalla difesa di Assange. Ny ha dichiarato la stessa falsità a Time, peraltro smentita dal fatto che agli atti la testimonianza di una delle due accusatrici risulta ottenuta al telefono e valida. Non si vede quindi nemmeno perché non dovrebbe essere considerato valido un interrogatorio di Assange in videoconferenza, che può essere facilmente registrata.

ALTRE BUGIE – Tra le molte false accuse ribadite in questi giorni a carico di Wikileaks merita una nota quella di non aver saputo difendere le proprie fonti, che poi vuol dire Bradley Manning, che mai Wikileaks o Assange hanno ammesso essere il loro confidente e che è stato individuato perché ha raccontato le sue gesta a un noto hacker nel quale riponeva fiducia, Adrian Lamo, che è corso a denunciarlo consegnando alle autorità americane il contenuto delle chat con Manning, nelle quali il giovane spiegava come e cosa aveva consegnato a Wikileaks. Anche in questo caso si tratta di un’evidente e dolosa diffamazione, sparsa per dolo o sciatteria da moltissimi giornalisti nel mondo. Gli stessi che prima hanno accusato Assange di collaborazione con la televisione russa Russia Today, la quale gli affidato un programma su cui Assange ha controllo editoriale assoluto, dicendo che è pagato da Putin. E che poi lo hanno accusato di voler confondere il suo caso con quello delle Pussy Riot quando l’australiano ha espresso solidarietà al gruppo e una condanna senza sfumature, per quella che ha definito una persecuzione ai loro danni.

LE ACCUSE – L’ultimo aspetto sul quale occorre fare chiarezza sono gli episodi per i quali Assange è chiamato a testimoniare, quelli che molti anche in Italia hanno definito accuse per “un duplice stupro”, senza nemmeno accompagnare con l’aggettivo “presunto” com’è d’obbligo prima della formalizzazione delle accuse, e non c’è niente di meglio delle parole delle denuncianti per inquadrare fedelmente le accuse. Delle testimonianze riporto solo i punti rilevanti per la definizione del reato. Le altre circostanze e l’intera dinamica dei rapporti tra le due ed Assange si possono reperire qui insieme alle testimonianza di altri conoscenti delle parti in causa

LA PRIMA TESTIMONIANZA – Il 20 agosto Sofia Wilén ha messo a verbale che: ” Si sono seduti sul letto e hanno parlato, e lui si è tolto i vestiti di nuovo. Hanno fatto sesso ancora (avevano già avuto diversi rapporti protetti) e lei all’improvviso (?) ha scoperto che lui aveva piazzato il profilattico solo sulla testa del suo pene, ma ha lasciato fare. Poi si sono addormentati e lei si è svegliata sentendo Assange che la penetrava. Lei subito gli ha chiesto: “stai indossando qualcosa?” Al che lui ha replicato “Te”. Lei allora: “Sarà meglio che tu non abbia l’HIV” e lui ha risposto “No di sicuro”. Lei ha sentito che era troppo tardi, lui era già dentro di lei e lo ha lasciato continuare. Non aveva le energie per dirgli ancora che voleva che usasse il condom. Ha detto che lui voleva eiaculare in vagina e che non ha detto quando, ma lo ha fatto. Molto liquido le è uscito in seguito. Lei gli ha chiesto poi: “E se rimango incinta?”. In risposta lui le ha semplicemente detto che la Svezia è un bel paese per avere figli. Lei ha risposto scherzando che, se fosse rimasta incinta, lui avrebbe dovuto estinguere il suo prestito studentesco.

QUALCHE DATO IN PIU’ – Sofia Wilen non aveva mai avuto rapporti non protetti, il giorno successivo ha lavato le lenzuola e ha preso la pillola del giorno dopo.  In seguito dice di aver parlato con gli amici e di aver capito di essere stata vittima di un reato. Cosa che l’ha spinta a confidarsi con diverse persone, con alcune delle quali, dopo aver presentato la denuncia, ha scambiato sms nei quali parlava di vendette e di denaro da ottenere facendosi intervistare a pagamento. Ma questo ovviamente non rileva nella qualificazione del fatto.

LA SECONDA TESTIMONIANZA – Il 21 agosto Anna Ardin è stata interrogata telefonicamente dalla polizia, che sul momento cruciale ha messo a verbale: “A quel punto ha lasciato che Assange le togliesse tutti i vestiti, dopo poco Assange ha chiesto cosa stesse facendo e perché stesse stringendo le gambe. Anna allora gli ha detto che voleva che indossasse un condom prima d’entrarle dentro. Al che Assange ha lasciato le braccia di Anna e messo il condom che Anna gli diede. Poi lei ha allungato la mano sul pene di Assange per controllare che avesse davvero indossato il condom. Sentì che era calzato alla base del suo pene. I due hanno continuato a far sesso e dopo poco Assange ha eiaculato, ritirando il pene dalla vagina. Quando Assange ha tolto il condom dal pene Anna ha visto che non conteneva seme. Quando Anna si è mossa ha notato che qualcosa usciva dalla sua vagina e si è resa conto abbastanza in fretta che era il seme di Assange. Glielo ha fatto notare, ma lui ha negato dicendo che erano solo i suoi stessi umori vaginali. Anna è convinta che quando Assange uscì per la prima volta dalla vagina, ruppe deliberatamente il condom sulla punta (?) e poi continuò nella copula eiaculando. Alle mie domande Anna ha risposto che non ha osservato da vicino il condom per vedere se fosse rotto nel modo che sospettava, ma che crede di avere ancora il condom in casa e che lo cercherà per controllare. Afferma anche che le lenzuola usate nell’occasione devono ancora essere lavate”.

LA TESTIMONIANZA DI ASSANGE – Alla fine di agosto Assange è stato interrogato e ha negato di aver notato rotture o di aver rotto di proposito il condom, mentre per l’incontro con Sofia ha confermato che tutto è stato consensuale, come peraltro ammesso dalla stessa ragazza, che solo in seguito ha detto di essersi impaurita per le conseguenze e di aver quindi parlato con diverse persone e alla fine anche con Anna, attraverso la quale aveva conosciuto Assange dopo che questa in precedenza lo aveva ospitato e aveva avuto diversi rapporti sessuali con lui durante alcuni giorni.

GLI AVVOCATI DI ASSANGE – Secondo gli avvocati svedesi di Assange, Per E Samuelson e Thomas Olsson, si tratta di un caso nel quale c’è solo la parola dell’accusatore contro l’accusato e le due donne avrebbero motivo di accusarlo ingiustamente per questioni personali. Sofia perché spaventata da quanto ha ammesso di aver permesso che accadesse e Anna, che aveva ospitato Assange al suo arrivo in Svezia per qualche giorno, perché lui avrebbe avuto una relazione con Sofia nonostante i giorni trascorsi a far sesso insieme. Troppo poco per un mandato di cattura che si sarebbe tradotto, anche se Assange si fosse immediatamente presentato al procuratore, nel mettere in manette Assange e nel detenerlo in isolamento per giorni, un trattamento che lo esporrebbe come un criminale colpevole e gli impedirebbe di preparare la sua difesa in Svezia come si deve e, per questo, di avere un processo equilibrato. Lo stesso procuratore prima ha sostenuto la necessità di mantenere Assange in isolamento come consente la legge e poi ha promesso ai suoi avvocati che non sarebbe accaduto, comportamenti che non ispirano certo fiducia in un processo corretto. Circostanza dimostrata dal rifiuto della procura di condividere finora le eventuali prove raccolte con la difesa com’è d’uso, che ovviamente legittima il sospetto degli avvocati di Assange che la procura non abbia prove convincenti da esibire. Il procuratore di Stoccolma non ha mai spiegato perché ha emesso un mandato di cattura per Assange invece d’invitarlo semplicemente a comparire attraverso i suoi legali, nonostante la stessa Marianne Ny (nell’immagine), dopo aver messo il mandato di cattura, abbia detto di non esser sicura di voler incriminare Assange.

Aggiornamenti: 

– Un avvocato svedese, giurista e blogger marocchino* poco tenero con quelli che chiama “Assangistas” smentisce in punta di diritto l’affermazione del ministro svedese Carl Bild, che ha detto che il suo paese non può garantire in anticipo che -non- deporterà Assange negli USA perché: “Il sistema giudiziario svedese è indipendente. Non posso fare nessuna dichiarazione che che vincoli il sistema giudiziario in alcuna maniera. Violerei la costituzione svedese“. Purtroppo per l’immagine della Svezia, si tratta della seconda volta nella quale un’autorità svedese mente pubblicamente smentendo l’esistenza di leggi svedesi. In questo caso, poiché la decisione di concedere l’asilo politico è sempre e anche una decisione politica, anche in Svezia come altrove la decisione spetta all’esecutivo ( legge (1957:668) sull’estradizione). La Corte Suprema svedese può infatti sindacare il rigetto della concessione del diritto d’asilo qualora ritenga violati i diritti dell’appellante (favor rei), ma non può assolutamente cassarla su ricorso autonomo o di altri soggetti quando sia stata concessa dal governo. Non solo quindi il governo potrebbe impegnare la Svezia a non estradare Assange, ma potrebbe farlo citando proprio la legge sull’estradizione che prevede all’articolo 6 che l’estradizione non possa essere richiesta ( e quindi concessa) per crimini politici e per crimini di natura principalmente politica. *Famoso blogger marocchino noto con il nome di Ibn Kafka (figlio di Kafka), “giurista marocchino in libertà vigilata” come lui stesso si definisce è l’autore di queste considerazioni, che in un primo momento avevo trovato attribuite a un avvocato svedese.

– Una particolarità omessa nell’articolo sopra, ma parecchio significativa, è il fatto che Karl Rove abbia svolto il ruolo di consigliere del premier svedese  anche su come perseguire Julian Assange nel caso di molestie sessuali. Una circostanza questa che a molti è sembrata confermata dalla vigorosa smentita da parte di esponenti del partito al governo, che in precedenza non avevano mai smentito la collaborazione con  il famigerato e molto aggressivo repubblicano. Che lo stratega repubblicano di  Bush sia stato chiamato dal governo svedese (o inviato da quello USA) a dare consigli su come braccare un australiano, accusato di presunti abusi sessuali da parte di due svedesi, dice molto su tutta la vicenda e sulla reale natura delle pretese svedesi. Se anche la circostanza precisa non fosse confermata, resterebbe comunque la vicinanza personale e ideologica e personale tra Rove e il premier svedese. L’opinione espressa pubblicamente da Rove sul caso, è che Assange debba essere “cacciato, catturato e messo sotto processo” per le attività di Wikileaks. Un’opinione che non ha alcun fondamento legale e che si configura come un grave abuso e un attacco alla libertà d’informazione.

Pubblicato in Giornalettismo