
Con un attentato suicida rivendicato poi su una pagina Facebook dal gruppo d’ispirazione qaedista Ansar al Sharia lo Yemen è tornato a far notizia per qualche ora, anche se non nel nostro paese, distratto da questioni localmente più interessanti, ma che comunque esibisce un disinteresse particolare per le faccende di guerra, una parte della cronaca contemporanea che da noi è rimossa fino a che qualche compatriota non finisce nei guai o ucciso.
In Yemen c’è una guerra non tanto diversa da quella che c’è in Afghanistan, in Pakistano o in Somalia. C’è un governo tanto alleato dell’Occidente che questi lo sostiene con armi e denari, un aiuto senza il quale questo governo non sarebbe più al potere da anni e probabilmente non ci sarebbe neppure mai arrivato. Anche in Yemen ci sono truppe occidentali, hanno l’etichetta di “consiglieri militari”, ma sono soldati impegnati in guerra a “consigliare” le truppe yemenite conducendole in battaglia con l’assistenza dell’aviazione e della marina americana.
Poi c’è un paese che pur odiando in linea di massima gli estremisti islamici è arrivato a odiare gli americani, che come tattica d’elezione continuano a preferire gli omicidi mirati con i droni, che come altrove hanno fatto strage di civili e d’intere famiglie. Abbastanza da far infuriare i locali, ai quali non sfugge che tutto il potere degli Stati Uniti non è mai stato impiegato per togliere dal loro capo la minaccia del regime di Saleh, che dopo vent’anni di dittatura e aver “rinunciato al potere” in realtà è ancora lì e nel frattempo si è guadagnato l’immunità.
Ansar al-Sharia ha detto di aver voluto colpire il ministro della difesa (un fedele di Saleh) e gli americani e in effetti il suicida ha mancato di poco il suo bersaglio, presente alla parata per i festeggiamenti dell’unità nazionale uccidendo 96 persone e ferendone, molto gravemente, 222. Dall’ospedale della capitale il dottor Mohsen al-Dhahari ha dichiarato che si tratta di ferite alla testa in gran numero e che molti dei feriti rimarranno paralizzati.
Ad essere colpita è stata comunque un’unità-simbolo del regime l’Organizzazione Centrale di Sicurezza, una forza paramilitare al comando di Yahya Saleh, nipote dell’ex-presidente. Il ministero della difesa ha colto l’occasione per rimuovere Yahya dal suo posto di comando poche ore dopo l’attentato. L’attuale governo è un esecutivo transitorio d’unità nazionalemolto relativa. Dovrebbe fare da ponte fino alle elezioni, ma appoggia ancora su elementi che erano parte integrante del vecchio regime e sul vecchio partito unico, ancora saldamente sotto la guida di Saleh, che attraverso i suoi familiari controlla ancora direttamente buona parte dell’esercito e dei servizi di sicurezza, quelli “istruiti” dagli americani. Sembra che l’accordo tra Saleh e le opposizioni per ora abbia avvantaggiato solo il vecchio dittatore.
Di sicuro non ha recato grandi vantaggi agli yemeniti che s’oppongono al regime e alla popolazione in generale, che più o meno è alla fame: “La crisi umanitaria in Yemen è passata da seria a disperata” ha dichiarato Kristalina Georgieva, a capo dell’aiuto umanitario europeo nel paese, come sempre una mancia rispetto a quanto speso per sostenere le operazioni militari, basta dire che per tutto il 2012 l’Unione Europea ha stanziato appena 25 milioni di dollari per soccorrere milioni di persone alla fame. Poi ci sono a Nord una minoranza sciita colpita da Saleh perché sgradita dai sauditi (co-sponsor del dittatore e degli accordi con i quali sta trattenendo il potere), c’è il Sud del paese che accarezza sogni secessionistici e ci sono i militanti islamici che nel momento di massimo caos istituzionale si sono impadroniti di una vasta area del paese, anche se in teoria lo Yemen ha un esercito che sarebbe stato in grado d’impedirlo. Inutile dire che oggi l’esercito compromesso con la dittatura è quanto mai necessario per stanare gli islamisti, anche se la sua immagine peggiora di giorno in giorno per le tattiche imposte dagli americani, tutto si tiene, come sempre in casi del genere, nei quali non è chiaro chi faccia l’interesse di chi alla fine dei conti.
Pochi giorni fa ad essere colpiti sono stati proprio alcuni “consiglieri” americani e anche negli Stati Uniti il ferimento di uno di questi ha fatto più notizia dei milioni di yemeniti che avrebbero bisogno di aiuti alimentari urgenti. Quattro istruttori della marina sono stati attaccati e almeno uno di questi ferito, nella città meridionale di Hudaida, che affaccia sul Mar Rosso, ma sono riusciti a sfuggire all’attacco, rivendicato sempre da quelli di Ansar in risposta alle operazioni dell’esercito che poche ore prima, coordinandosi con gli americani, aveva ucciso 17 qaedisti in un attacco diretto alla riconquista territoriale delle aree da loro presidiate.
Intanto il dittatore Saleh passa da un ospedale all’altro, perché ha una certa età e deve ancora riprendersi dall’attentato che gli aveva fatto saltare in aria mezzo governo e che lo aveva ridotto in fin di vita per alcuni lunghi mesi, durante i quali comunque la sua famiglia ha mantenuto una discreta presa sul potere. Nel caso dello Yemen c’è poi da notare il sostegno dell’Arabia Saudita, che non desidera certo un califfato fondamentalista alle porte della Mecca e che vede nel regime di Saleh lo strumento più rapido e deciso per rimuovere il problema alla radice, anche se la storia degli ultimi anni dimostra come non bastino le stragi a sradicare certi fanatismi, peraltro benvenuti dai sauditi quando riconoscano la loro supremazia tra i fedeli.
I numeri raccontano che nello Yemen c’è una guerra che non è seconda ad altre più note e riconosciute come tali e che gli Stati Uniti ci stanno investendo uomini e denaro per sostenere il passaggio da un affidabile regime a qualunque cosa sia ugualmente affidabile e gradito ai sauditi e ai reali del Golfo, che hanno sempre visto lo Yemen più o meno come un pericoloso serbatoio di barbari terroni repubblicani e comunisti, l’unico buco anti-monarchico in una Penisola Araba ancora saldamente nelle mani di un pugno di monarchi assoluti, per lo più imparentati tra loro e seduti sopra le riserve petrolifere più ingenti del pianeta. Un buon motivo per voltarsi da un’altra parte quando contribuiscono a disastri del genere.
Pubblicato in Giornalettismo
Posted on 23 Maggio 2012
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