Il mese scorso un terrificante articolo di Riccardo Luna per La Repubblica, su internet e i suoi meandri misteriosi, subito seguito preceduto di poco da uno simile firmato Federico Varese* e diffuso in rete da Anna Masera per La Stampa, aveva scatenato grandi risate e critiche feroci quanto meritate. Incurante di tutto il bailamme, il Corriere della Sera ha poi pubblicato il 20 di Aprile ” Droga, armi, minori e killer: viaggio nel deep web. Dove tutto è possibile” di Amalia de Simone, sovrapponibile campionario di assurdità all’ingrosso.
Lasciamo stare che l’articolo di Luna sia apparso ad alcuni ispirato a uno dell’Indipendent pubblicato una settimana prima e ad altri ad uno di Gawker di un anno prima. E lasciamo stare che quasi identici articoli ispirati al sito “Silk Road” si ripetano da anni, ma tutti e tre gli autori hanno ulteriormente macchiato la loro prestazione con terrificanti strafalcioni, indegni di persone con un’elementare conoscenza della rete. Il che, essendo Luna considerato un esperto d’internet e Anna Masera rivestendo la funzione di social media editor per il suo giornale, ha addirittura del clamoroso. Se questi sono i giornalisti competenti, figurarsi gli altri.
A distanza di circa un mese dall’inizio del fenomeno, ecco manifestarsi su L’Espresso Stefania Maurizi, con un articolo (Salvate la rete segreta) che sembra voler smentire quello de La Stampa, ma che ripete a suo modo le assurdità di Valente e Luna. Nessuno dei tre sembra possedere nemmeno le basi per affrontare l’argomento sul quale dovrebbero informare i lettori. Il fatto che probabilmente usino la rete e i computer da anni, non ne fa dei conoscitori della materia, questo è dimostrato.
Così Stefania Maurizi se la prende con La Stampa, probabilmente dimenticandosi di Luna per carità di squadra, inanellando una serie di assurdità e di errori forse più numerosi di quelli che l’hanno preceduta.
Ho cercato di farglielo notare, ma i 140 caratteri di Twitter e l’ostilità della materia mi pare le abbiano impedito di afferrare le mie critiche. Che passo a dettagliare di seguito, a beneficio suo e di chi si avventurerà allo sbaraglio in futuro. Sorvolo sul titolo che è sempre di paternità incerta.
Tutti gli articoli in questione la menano con il Deep Web, dimostrando di non aver capito proprio cosa sia. Probabilmente inganna la traduzione letterale in “web profondo”, in Italia si chiama web invisibile, ma dappertutto è:
Cit. Wikipedia: “Il Web invisibile (conosciuto anche come Web sommerso) è l’insieme delle risorse informative del World Wide Web non segnalate dai normali motori di ricerca“.
Quindi con il termine Deep Web si indica qualunque pagina internet alla quale i programmi dei motori di ricerca non possono accedere.
Il Deep Web quindi NON è “l’ultima frontiera della rete“, e non vi si accede: “…digitando un indirizzo preciso sulla barra del browser. Un indirizzo che qualcuno vi ha fornito e che può aprire il forziere che cercate” come scrive Maurizi.
Deep Web è la posta elettronica, sono i messaggi di chat, le comunicazioni via Skype o sistemi simili, molti dei forum e dei gruppi di discussione, le pagine dei portali protette da password, le reti aziendali e commerciali, quelle p2p, quasi tutti i database scientifici che pure sono accessibili pubblicamente. Più semplicemente tutte le pagine che rifiutano l’accesso ai programmi dei motori di ricerca, anche se pubbliche. Anche quasi tutti la pagine concepite per l’uso con i dispositivi mobili sono Deep Web. Anche Facebook è in gran parte Deep Web per i motori di ricerca.
Che quindi non è una definizione che possa essere usata come sinonimo di segreto e nemmeno di riservato o di “rete parallela”, ma una semplice definizione tecnica che indica le pagine non censite dai motori di ricerca per i motivi più vari. Non ha nulla a che fare con il crimine, con il proibito o con l’immorale, è una semplice definizione tecnica.
Ridicola allora una frase come “Chi naviga nelle acque del Deep Web sa come mascherare l’IP del computer“, perché non ce n’è bisogno e infatti pur navigando tutti nel Deep Web quotidianamente, sono ben pochi quelli che ricorrono a espedienti del genere.
Ancora più ridicola la descrizione di TOR come di un sistema “che permette di navigare in modo anonimo usando un sistema di “tunnel virtuali” che fanno perdere le tracce”. Qui siamo nei pressi d’atmosfere gelminiane. Ricorda il tunnel, poi diventato “virtuale”, che dal Gran Sasso doveva portare i neutrini in Svizzera. I tunnel non c’entrano nulla con TOR, che è un programma che fa viaggiare i pacchetti di dati attraverso nodi criptati e così recapita ai siti visitati un segnale dissimulato nell’identità, senza tunnel virtuali o reali. Non serve a penetrare da nessuna parte, ma solo a dissimulare l’identità della propria connessione, per lo più per scopi e motivi più che leciti.
Una baggianata dietro l’altra, poi cede la parola agli esperti, che giustamente smontano il sensazionalismo degli articoli di Luna e altri, e a chiudere aggiunge altra roba campata in aria.
Maurizi alla fine si chiede da dove sia venuta questa demonizzazione del Deep Web (bastava usare un motore di ricerca e guardare in direzione dei colleghi) e finisce ipotizzando che si tratti di una “campagna di delegittimazione” della NSA americana, che vuole “fare a pezzi il Deep Web“, come dimostrerebbe il fatto che stia costruendo una grande stazione per lo spionaggio in Utah. Il big-complotto-distruttore-di-rete gettato lì con disinvoltura, è qui è evidente che una catena di malintesi l’abbia guidata a una conclusione assurda. E non solo perché “fare a pezzi” il Deep Web vorrebbe semplicemente dire distruggere internet.
Ora, premesso che NSA vuole semplicemente spiare il più possibile la rete e non vuole fare a pezzi nulla, resta evidente che Stefania Maurizi non ha la più pallida idea di cosa sia il Deep Web, che non è la rete segreta e non assomiglia per niente alla cosa che sembra immaginarsi lei, con le agenzie americane impegnate a distruggerla e combatterla.
Il problema non è allora solo nei media che giocano con il sensazionalismo intorno alla rete “profonda”, ma nel fatto che ben quattro articoli in un mese, pubblicati dalle principali testate italiane, abbiano esibito una tale sciatteria e un tale campionario di inesattezze. Persino l’ultimo articolo, che partiva dalla premessa di voler far chiarezza e con il vantaggio di poter far tesoro di quanto era già stato chiarito, ha fornito altre informazioni false a un gran numero di lettori. Una parte ne ha giustamente riso, ma i lettori che non conoscono abbastanza la rete per rendersi conto della grande quantità di svarioni, ne avranno semplicemente ricavato informazioni false e un’idea della rete assolutamente deformata da ignoranza e sensazionalismo infondato.
A peggiorare le cose c’è il fatto che gli autori degli articoli in questione sono presentati dalle rispettive testate come professionisti esperti dell’argomento, mentre risulta evidente che non siano interessati a proporre ai propri lettori un’informazione puntuale e affidabile nemmeno sui fondamentali, la definizione dei quali non risiede nel Deep Web, ma a portata di motore di ricerca. A ulteriore conferma di tale disinteresse, si può verificare facilmente come nemmeno le affermazioni platealmente inesatte siano state corrette e come le critiche siano puntualmente state ignorate dagli autori e dalle rispettive redazioni.
NOTA*: Avevo scorrettamente attributo l’articolo de La Stampa ad Anna Masera, che però non l’ha scritto, ma l’ha solo diffuso in rete nella sezione del sito affidata alla sua cura. Mea culpa e scuse a Masera, veloce nel farmelo notare quanto nell’ignorare le critiche all’articolo e porvi rimedio. Ancora oggi sembra infatti che non abbia capito o che preferisca ignorare i clamorosi svarioni contenuti nell’articolo che ha promosso.
P.s. Non so se l’autore dell’articolo in discussione sia il Federico Varese che Google presenta per primo come criminologo, ma di sicuro non appare una persona competente a trattare l’argomento, anche se Anna Masera e La Stampa non si sono nemmeno resi conto di quanto quell’articolo sia assurdo e drammaticamente falsato dall’ignoranza del tema trattato.
Anna Masera
7 Maggio 2012
Vorrei precisare che l’articolo a me attribuito non l’ho scritto io, porta la firma del prof Varese.
Grazie, buona giornata
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mazzetta
7 Maggio 2012
grazie per la precisazione, ho già corretto. Mi permetti però di far notare la differente velocità nel far notare gli errori altrui e nel prendere atto dei propri? Davvero non hai ancora capito perché quel pezzo sarebbe da cestinare e in quali parti sia platealmente falso?
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AnonConiglio 無名兎 (@anonimoconiglio)
7 Maggio 2012
Ottimo pezzo ;)
vorrei però farti notare una cosa che forse ti sfugge riguardo Riccardo Luna.
Recentemente ho scritto un post-racconto sulle faccende che coinvolgono Luna ancora prima di questa crociata al deep web, in particolare quelle che riguardano il candidare internet al Nobel per la Pace e la disinformazione e confusione che ha scatenato (trovo che sia l’inizio dell’andazzo che vediamo ora). È un po’ lungo ma se ti interessa te lo lascio linkato qui: http://anonimoconiglio.blogspot.it/2012/04/volevo-fare-la-startup-la-maledizione.html
Devo ammettere che prima di scrivere il post non conoscevo molto sulla vita di Riccardo Luna, non sapevo nessun dietro-scena della sua carriera di “giornalista”.
È curioso, come molte volte il blogger Jumpinshark ci fa notare, il modo in cui Luna non usare mai un link, mai – o quasi – linkare la fonte e i siti di cui scrive. Non è una usanza da giornalisti di questi tempi, ma nel caso di Luna ho iniziato a pensare che ciò sia fatto apposta.
Ebbene, perché non lasciare un link? Per non spezzare la lettura.
Sostanzialmente, trovo che, a Luna, delle critiche e delle correzioni che possano fargli notare non interessa un bel niente, perché il suo lavoro consiste nel raccontare. Narrare. Lui è quel che in marketing chiamano “storytelling“. Ed inizio a pensare che questa sia una tendenza che incomincia ad andare di moda. Spiegherebbe perché a loro non interessa offrire ai lettori un’informazione puntuale, come sostieni.
Trovo che raccontare non sia sbagliato, ma se si tratta di un giornale bisognerebbe raccontare almeno i fatti, non pezzi di finzione, e che compaiano articoli del genere su testate rinomate è veramente scandaloso. Pare che la narrazione prenda il posto dell’informazione. Ma anziché chiamare un racconto per il suo nome lo chiamano “articolo”, e anziché chiamare un racconta-storie per il suo nome lo chiamano “giornalista esperto in tecnologia”.
[per Masera e gli altri penso sia una questione di ignoranza del mezzo, non lo conoscono ma scrivono per seguire l’andazzo]
Non so, che ne pensi?
Ciao
Santiago
PS: Il pezzo con cui ha dato il via alle panzane italiane sul dark web è indecente, e bastava leggere il sommario dell’articolo:
Per lui insomma usare TOR è usare una procedura clandestina, e quindi illegale. Sufficiente per capire cosa ti aspetta…
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AnonConiglio 無名兎 (@anonimoconiglio)
7 Maggio 2012
merda c’è un refuso, volevo scrivere: “è curioso notare come Luna spesso non linka mai – o quasi – la fonte e i siti di cui scrive” (ma la frase era rimasta modificata a metà). Scusa.
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Anna Masera
7 Maggio 2012
Avete scritto una montagna di inesattezze, attribuendo in un primo tempo addirittura a me un articolo che non ho scritto, il che dimostra che non l’avevate nemmeno aperto, il link che avevo condiviso a suo tempo su Twitter, e mi meraviglio che ignoriate l’identità dell’autore dell’articolo, il professor Varese insegna a Oxford non è l’ultimo arrivato, scrivere che è un incompetente è un insulto. Il suo articolo per La Stampa è stato il PRIMO in assoluto a uscire sull’argomento, seguito dagli altri che citate. Non viceversa. Riccardo Luna è uscito esattamente il giorno dopo, su Repubblica. Per il resto, credo che ci penserà l’autore dell’articolo a difendersi, se lo riterrà, non devo certo difenderlo io.
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mazzetta
7 Maggio 2012
Quasi dimenticavo, mi perdoni la nota, ma io attendo ancora dalla sua testata spiegazioni sul famoso caso Numa (il direttore le aveva annunciate pubblicamente e poi…) e in particolare una mezza parola su come poi si è comportato, insieme a un altro vostro collaboratore, nei miei confronti e di altri che chiedevano -educatamente- lumi.
Ne approfitto perché vedo che l’attitudine a negare certe cose che sembrano evidenti non mi sembra del tutto evaporata, è una maniera come un’altra di offrirle l’opportunità di riscattare quelle pessime figure, non fraintenda.
Il giornale ha elaborato una risposta che è andata perduta o c’è ancora da attendere molto?
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mazzetta
7 Maggio 2012
se ho scritto inesattezze, le sottolinei (e vada per il lei…), che ci vuole?
se sono una montagna sarà facilissimo…
Il professor Valente sarà competente nel suo campo, ma di Deep Web e reti non pare proprio, l’articolo è lì a dimostrarlo.
quanto a lei, che prima promuoveva garrula l’articolo (ora capisco, forse a rivendicare la prestigiosa primogenitura sulla storia di Silk Road) ora scarica su di lui, mentre fino a poco fa si diceva pronta a correggere eventuali errori (cit. Un conto sono gli errori un conto i punti di vista. Io non correggo i pensieri altrui…), non mi pare più competente, visto che ancora adesso rifiuta di riconoscere che in quell’articolo sono scritte bestialità
“ora esiste una valuta virtuale che rende impossibile rintracciare l’identità di chi effettua pagamenti illegali” è falso visto che le transazioni di bitcoin sono PUBBLICHE, cit. : “Bitcoin si basa sul trasferimento di moneta tra conti pubblici usando crittografia a chiave pubblica. Tutte le transazioni sono pubbliche e memorizzate in un database distribuito che viene utilizzato per confermarle ed impedire la possibilità di spendere due volte la stessa moneta.”
che ne dice?
“Ed esiste un Internet segreto, cui non si accede attraverso i motori di ricerca convenzionali. Per entrare in questo mondo parallelo bisogna scaricare un programma speciale. Una volta installato questo programma, si può accedere, senza lasciare tracce telematiche, al web «profondo» o «nascosto».”
qui i falsi sono numerosi, basta il confronto con la definizione di Wikipedia o con l’esperienza comune
che ne dice?
le sembrano cosucce da poco o “inesattezze”?
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stefania maurizi
7 Maggio 2012
Le rispondo punto per punto a questo suo pezzo, anche se richiede, purtroppo, un lungo commento. Sono certa che lei non lo censurerà.
– Lei scrive: “Stefania Maurizi se la prende con La Stampa, probabilmente dimenticandosi di Luna per carità di squadra”.
Non me lo sono assolutamente presa con la Stampa, ho semplicemente citato il titolo di un articolo del quotidiano di Torino; non ho mai conosciuto Riccardo Luna e non so di quale squadra parla, visto che lui scrive su Repubblica e io su l’Espresso.
– E ancora: “Ho cercato di farglielo notare, ma i 140 caratteri di Twitter e l’ostilità della materia mi pare le abbiano impedito di afferrare le mie critiche”
Le critiche vanno benissimo. Se non esistesse il diritto di critica, non esisterebbe il giornalismo. Lei mi ha inviato un tweet in cui affermava che “il deep web non esiste” e definiva “baggianate” i contenuti del mio articolo. Se io le ho risposto in modo laconico è solo perché mi risultava impossibile risponderle in modo appropriato in 140 caratteri e infatti lo faccio in questa sede.
– lei contesta la mia definizione di ‘deep web’ e poi la riafferma in questo suo pezzo contro di me. Il deep web è proprio la porzione di web che non affiora attraverso i motori di ricerca. Esattamente quello che io ho scritto. Detto ciò, io non ho ASSOLUTAMENTE criminalizzato il deep web come lei scrive qui e, anzi, il mio articolo era mirato esattamente a questo: smontare gli argomenti di chi lo criminalizza, rappresentandolo come un Far West digitale, come l’ho definito nel mio pezzo, proprio per rendere l’idea che io punto a demolire. Ci tenevo a smontare certi argomenti attraverso le opinioni di esperti di altissimo livello. E ci tenevo anche perché, in Italia, con la scusa della mafia e del terrorismo, si approvano leggi folli sulla Rete e si demonizza tutto: basta vedere come viene dipinta Bitcoin…
Detto questo, aggiungo che è assolutamente vero quello che ho scritto: nel deep web circolano ANCHE cose molto delicate: ci possono, per esempio, transitare documenti delicatissimi, criptati e riservati. Mi lasci dire queste cose alla luce della mia esperienza: le assicuro che so di cosa parlo. Se, però, lei non vuole credere a me, si legga i lavori di James Bamford, un’autorità in materia di Nsa, al punto da essere stato ingaggiato come consulente della difesa di Thomas Drake.
– Lei scrive: “Ancora più ridicola la descrizione di TOR come di un sistema “che permette di navigare in modo anonimo usando un sistema di “tunnel virtuali” che fanno perdere le tracce”. Qui siamo nei pressi d’atmosfere gelminiane. Ricorda il tunnel, poi diventato “virtuale”, che dal Gran Sasso doveva portare i neutrini in Svizzera. I tunnel non c’entrano nulla con TOR”.
Beh, le consiglio di dare uno sguardo alla pagina ufficiale del progetto Tor:
https://www.torproject.org/about/overview.html.en
Troverà esattamente questa frase: “Tor is a network of virtual tunnels that allows people and groups to improve their privacy and security on the Internet”
Glielo spiega lei a chi ha creato Tor che i “tunnel virtuali” non c’entrano niente e sono una descrizione ridicola in stile gelminiano, come lei ha scritto? I tunnel virtuali fanno perdere le tracce nel senso che l’Ip originario si ‘perde nella folla’, come mi spiegarono efficacemente i ricercatori del laboratorio di sicurezza informatica dell’Università di Cambridge.
– Quanto alle mire della Nsa sul deep web, che io ho citato nel mio articolo, la rimando ancora una volta a James Bamford. Si legga il fantastico articolo di Bamford sul centro che la Nsa sta costruendo nello Utah e capirà di che cosa parlo. Lo trova qui: http://www.wired.com/threatlevel/2012/03/ff_nsadatacenter/all/1
– Gli esperti da me interpellati (alcuni di livello stellare come Bruce Schneier) non hanno assolutamente smontato nulla: hanno parlato con me del deep web, di Tor e di Bitcoin in modo educato, spiegando, raccontando, in modo friendly e senza tirarsela minimamente. Come solo i grandi sanno fare.
Cordialmente,
Stefania Maurizi
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mazzetta
8 Maggio 2012
Cara Maurizi
Forse dimentica quando le ho porto copia di una frase “baggianata” ad esempio, che lei ha bellamente ignorato, ma fa lo stesso, forse non ha notato l’immagine in allegato, vai a sapere… sono stato il primo a far presenti i limiti dei 140 etc…
Per il resto, compresa la definizione di TOR che resta metafora infelice anche se è scritta sul sito di TOR (o “si ‘perde nella folla’” o passa per i tunnel, no?), se non ha capito dove e come ha sbagliato all’ingrosso in tutta la prima parte dell’articolo, mi pare inutile insistere. Da “è l’ultima frontiera della rete” fino a prima della citazione del Far West, lei ha scritto una sequela di spropositi tale da vanificare anche le buone intenzioni demistificanti che pure le ho riconosciuto
Anche ammettendo che tutto quanto scritto nella seconda colonna lei lo volesse attribuire a quegli “alcuni” per i quali il DW è il Far West (come la descrizione dei pagamenti “anonimi” con bitcoin creato “per sfuggire alle banche”), non si capisce bene l’espediente di ripetere prima una serie d’informazioni false senza dire che lo sono per poi farle smentire dalle parole degli intervistati.
Ma non è importante, quello che resta basta e avanza per aggiungere questo articolo alla lista
Lo vuol capire o no che DW non vuol dire “profondo” e nemmeno segreto? Lei non ci crederà, ma a tutti i siti del mondo si arriva “digitando un indirizzo preciso sulla barra del browser”…
lo vuol capire che se Assange le avesse spedito quei file attraverso un account di posta lei li avrebbe ugualmente recuperati dal DW?
E non ci crederà, ma sono altri imprecisi che animano la “campagna di delegittimazione del DW che ha percepito leggendo proprio quegli articoli, perché altri non ne sono girati in questo periodo, non c’è nessun big complotto contro il DW e buttarla lì come ha fatto lei fa sorridere.
Perché, non ci crederà, ma NSA non ha affatto intenzione di “fare a pezzi il Deep Web“
Che tra l’altro non si capisce nemmeno cosa voglia dire, le spie spiano, non vanno in giro a fare a pezzi niente, spero che almeno su questo converrà.
Comunque le concedo il beneficio del dubbio, posto che non mi risulta che Wired abbia scritto una cosa del genere, nell’articolo da lei linkato non c’è, secondo lei perché gli USA (mica fichi) vorrebbero “eliminare” o “fare a pezzi” il DW, che nell’articolo non lo spiega?
Come spiega che, cito Wired indicato da lei ” In Bluffdale the NSA is constructing a library on a scale that even Borges might not have contemplated”? Una biblioteca…
Vogliono fare a pezzi il DW e delegittimarlo e costruiscono un’enorme database per registrarne più che possono prima di distruggerlo o la sua ipotesi è un pelo appesa al nulla?
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Unoqualsiasi
19 settembre 2012
Ringrazio l’autore dell’articolo per avermi chiarito sull’argomento. Da come veniva descritto sembrava il covo dei terroristi e dei pedofili.
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DeepSurfer
19 novembre 2012
ciao Mazzetta. Ottimo post, complimenti. Anche a me erano venuti i capelli dritti in testa, leggendo gli articoli sul DW che erano usciti.
Hai cercato un confronto che non ci può essere, dato che la signora Maurizi, continua a parlare di qualcosa che non conosce, ripetendo quello che ha sentito dire da altri: questa non è conoscenza di un argomento signora!
Concordo pienamente con uno aspetto della tua critica: quale giornalista scrive un pezzo, con notizie “scorrette/errete o tendenziose”, per poi farsi contraddire da qualche “esperto”, 50 parole dopo? Questo sicuramente non aiuta la chiarezza…credo oltretutto, che la signora giornalista avrebbe potuto rispondere in ben altro modo perchè così come ha fatto, mi pare ti abbia solo dato ragione confermando le tue tesi!
s(A)luti
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